Le immobilizzazioni materiali sono componenti attive del patrimonio di una società. Esse sono costituite da beni fisici, i cui costi vengono sostenuti in un dato momento, ma i cui benefici vanno oltre il presente esercizio, essendo di medio lunga durata. Questi beni non sono destinati alla vendita o alla trasformazione, ma concorrono alla produzione di beni e servizi. Si tratta, per esempio, di beni immobili o mobili o macchinari. Nessuno di questi viene acquistato per essere venduto o soggetto a trasformazione, ma per essere impiegato nella produzione.
Dicevamo, a fronte di un costo sostenuto generalmente in un’unica soluzione, ma potrebbe essere utilizzato lo strumento del leasing o dell’acquisto rateizzato, i benefici sono pluriennali. Non sarebbe corretto, quindi, sul piano dei conti aziendali addebitare su unico esercizio il costo di acquisizione di questo beni, per cui per ogni esercizio viene calcolata la quota di ammortamento, che determina il costo gravante per il periodo ai fini civilistici e fiscali.
Se, per esempio, acquisto un immobile per 600.000 euro per svolgervi un’attività produttiva al suo interno e che le norme mi consentono di ammortizzare per 30 anni, significa che su ogni esercizio dovrò addossare un onere di 20.000 euro, 600.000/30, avvalendomi di un ammortamento costante.
Può accadere, però, che per ragioni di obsolescenza economica o per il venire meno dell’utilità finalizzata alla produzione, un bene immobilizzato venga dismesso, ovvero se ne muti la destinazione economica. Dal momento che il bene viene venduto o affittato, non potrà più essere ammortizzato. A quel punto, infatti, esso produrrà un reddito, in forma di prezzo di compravendita o di canone di locazione. Si pensi all’immobile dismesso o locato a terzi. A quel punto, dalla differenza tra il prezzo ricavato e il costo sostenuto per la sua acquisizione, diminuito dell’ammortamento, si otterrà una plusvalenza o una minusvalenza. Nel primo caso, l’azienda sarà riuscita a maturare un provento, nel secondo avrà subito un onere straordinario.
Tornando all’esempio dell’immobile acquistato per 600.000 euro e ammortizzabile in 30 anni, ipotizziamo che dopo 20 anni, l’azienda decida di venderlo, essendo venuta meno la sua funzione di sito in cui si svolge l’attività produttiva. Significa che sul piano contabile, essa avrà ammortizzato il bene per 400.000 euro, 20.000 x 20. Questo è il costo complessivo che ha inciso sui bilanci aziendali, a fronte di 600.000 sborsati. Se l’immobile riuscisse ad essere venduto, per ipotesi, a 700.000 euro, la società avrà realizzato una plusvalenza di 700.000 – (600.000 – 400.000) = 500.000 euro. La società ha goduto il cespite per 20 anni, ovvero per 400.000 dei 600.000 euro sborsati, per cui il valore residuo del bene sarebbe ancora di 200.000 euro. I 700.000 euro incassato risulterebbero, quindi, di mezzo milione di euro in più, da cui la plusvalenza. Per valori incassati inferiori ai 200.000 euro, invece, si subirà una minusvalenza, avendo la cessione del bene comportato un incasso inferiore al suo valore residuale.
Le immobilizzazioni materiali non sono le uniche di cui si compone il patrimonio aziendale. Troviamo infatti le immobilizzazioni immateriali, come avviamento, brevetti, know how, spese pubblicitarie, o le immobilizzazioni finanziarie, come partecipazioni stabili in altre società, crediti pluriennali, investimenti finanziari non azionari. Questo, solo per restare nell’ambito delle immobilizzazioni, visto che il patrimonio è costituito anche dall’attivo circolante, ovvero dai crediti commerciali, le scorte di magazzino e la liquidità di cassa.
Riassumendo, le caratteristiche che devono possedere le immobilizzazioni immateriali sono quattro.
La loro utilità durevole, devono apportare un contributo alla produzione per un periodo superiore all’esercizio.
Esistenza fisica dei beni, devono avere natura materiale, appunto.
Essere di proprietà, non possono essere considerate immobilizzazioni i beni in leasing o quelli di cui si è locatari.
Sussistenza fisica,possono essere iscritti a bilancio solo i cespiti fisicamente presenti, ma anche gli anticipi corrisposti ai fornitori per l’acquisizione di beni materiali da consegnare.
Le immobilizzazioni materiali devono essere iscritte a bilancio al costo di acquisto o costruzione, eventualmente rettificati nei casi in cui le leggi consentono una loro rivalutazione, spesso anche per consentire alle aziende di adeguarne il valore al potere di acquisto della moneta, che chiaramente muta negli anni. Quanto alle spese di manutenzione e riparazione, esse vengono imputate al conto economico, incidendo così sul reddito d’esercizio. Se, però, esse accrescono il valore dei beni, incrementano le immobilizzazioni.
Ribadiamo una decisiva distinzione tra immobilizzazione materiale e altro tipo di investimento aziendale, la prima punta non alla vendita o alla trasformazione del bene, ma solo alla produzione di beni e servizi, mentre il secondo si pone come obiettivo l’accrescimento di valore nel tempo o nello spazio, in modo da maturare una plusvalenza. Che, poi, come abbiamo visto, anche le immobilizzazioni materiali con il tempo possano produrre plusvalenze o minusvalenze è un altro discorso, che attiene sempre il rapporto venuto meno con la produzione. Certo, può accadere che un bene, inizialmente acquisito per concorrere alla produzione, ma in un secondo momento accresciutosi notevolmente di valore, in conseguenza di specifiche situazioni di mercato, venga destinato a uso diverso, se ciò consente all’azienda di ottenere benefici in misura superiore che continuare a impiegarlo allo stesso modo.