Le immobilizzazioni finanziarie sono quella parte dell’attivo patrimoniale di una società che non può essere smobilizzata nell’immediato, ma che presuppone tempi medio lunghi, generalmente superiori ai 12 mesi. Parliamo di crediti di natura non commerciale, di mutui attivi, titoli a medio lunga scadenza e partecipazioni, anche se in teoria possono rientrarvi anche i crediti commerciali, sebbene di solito essi abbiano una durata breve e inferiore all’anno, per cui dovrebbero essere esclusi dalla categoria.
Per partecipazioni si intendono quote di capitale detenute presso imprese collegate, controllate e altre aziende. A tale fine, va detto che non tutte le partecipazioni è detto che siano immobilizzazioni in senso stretto, perché esse potrebbero semplicemente essere state acquistate a scopi speculativi, ovvero con il fine di realizzare una plusvalenza il prima possibile dalla cessione dei titoli a prezzi superiori a quelli di acquisto. Tuttavia, di solito richiedono tempo per la loro dismissione, anche perché questa è legata all’andamento dei valori di mercato, non oggettivamente manovrabili dalla società acquirente. Per il caso di partecipazioni in società collegate e controllate, invece, non vi è dubbio che si tratti di immobilizzazioni finanziarie, essendo la loro permanenza nel patrimonio aziendale destinata generalmente ad essere a medio lunga scadenza. Tra le partecipazioni, possiamo citare anche le azioni proprie, che una volta acquisite tendono a rimanere nel portafoglio societario per un periodo non breve, spesso per ragioni tipicamente finanziarie, come abbassare il numero delle azioni circolanti per aumentarne il valore, oppure per sottrarre dalle mire di possibili scalatori quote di capitale, riducendo le probabilità di riuscita della scalata.
Discorso simile riguarda i crediti. Rientrando raramente quelli commerciali tra le immobilizzazioni, nei fatti si fa riferimento solo a quelli di natura finanziaria. Parliamo di crediti verso imprese collegate, controllate, controllanti o altre aziende. Si tratta di prestiti spesso interni al gruppo, ovvero di crediti tra società appartenenti allo stesso gruppo e che per ciò stesso tendono spesso ad avere una durata più o meno lunga. Infine, anche gli altri titoli, se destinati ad avere una presenza medio lunga nel patrimonio aziendale, sono annoverabili tra le immobilizzazioni finanziarie.
Vediamo per quale motivo è importante distinguere tra le immobilizzazioni e il capitale circolante, che a differenza delle prime è composto da elementi attivi del patrimonio con durata medio breve, come scorte di magazzino, crediti commerciali e liquidità di cassa. Risulta essere evidente che una società, nel cercare di gestire al meglio le proprie finanze, deve essere in grado di capire quali crediti siano più o meno facilmente smobilizzabili nel breve, nel medio e nel lungo termine, a fronte delle obbligazioni in scadenza.
Facciamo un esempio per capire meglio. Immaginiamo che la società Costruzioni Spa abbia in portafoglio quote azionarie di una società collegata per un controvalore di 100.000 euro, oltre che crediti verso società controllate per altri 150.000 euro e liquidità disponibile per 50.000 euro, a fronte di debiti in scadenza nell’arco dei prossimi 12 mesi per complessivi 200.000 euro. In teoria, raffrontando la parte attiva con quella passiva, non dovrebbero esservi problemi, in quanto la prima ammonta a 300.000 euro e la seconda a 200.000 euro. Tuttavia, della prima sono prontamente disponibili appena 50.000 euro della liquidità di cassa, mentre i crediti e le partecipazioni sono componenti poco liquide dell’attivo. Nei fatti, quindi, le obbligazioni risultano superiori per almeno 150.000 euro. Questo esempio permette di capire che quando parliamo di attivo patrimoniale, dobbiamo meglio avere idea di quale durata esso abbia, in modo da essere in grado di programmare le finanze aziendali senza sorprese.
Proprio per la diversità esistente tra partecipazioni, titoli e azioni proprie facenti parti delle immobilizzazioni finanziarie e quelli del capitale circolante, lo stesso Codice Civile individua due ipotesi differenti di valutazione. Nel primo caso le voci vanno valutate con il metodo del costo, per tutte le partecipazioni, o con quello del patrimonio netto contabile, per le partecipazioni nelle imprese collegate o controllate. Le partecipazioni dell’attivo circolante, invece, vanno valutate al minore importo tra il costo e il valore di realizzo desumibile dall’andamento del mercato.
Vediamo quali partecipazioni vanno considerate formalmente quali immobilizzazioni finanziarie e quali no. Il Codice Civile prevede che siano immobilizzazioni gli investimenti durevoli per decisione degli amministratori della società, oppure che debbano essere considerate tali quando esse rappresentano una quota non inferiore a un quinto della società partecipata, a un decimo per il caso di società partecipata quotata in un mercato regolamentato. Dunque, si hanno una decisione autonoma nel primo caso e una presunzione di legge nel secondo.
Le partecipazioni immobilizzate puntano al controllo o all’influenza dominante nella società controllata o in un’influenza notevole in una società collegata, oppure ad ottenere vantaggi economici indiretti per il caso di partecipazioni non qualificate.
La durata, tuttavia, non è sufficiente a qualificare sul piano normativo una partecipazione quale appartenente al circolante o alle immobilizzazioni. Potrebbe anche darsi il caso, per esempio, di una quota di capitale detenuta per lungo tempo, senza che essa abbia avuto una delle finalità sopra citate, per cui sarebbe da valutarsi ancora quale parte dell’attivo circolante. In altre parole, emerge la prevalenza di un criterio di destinazione funzionale e non temporale. Per questo, le decisioni degli amministratori di una società tornano ad essere determinanti.