Le immobilizzazioni sono attività che fanno parti dello stato patrimoniale di un’azienda. Esse possono essere materiali o anche tangibili, immateriali o intangibili e finanziarie. Partiamo, anzitutto, dal concetto di immobilizzazione.
Come detto, si tratta di una componente attiva del patrimonio aziendale, la cui acquisizione avviene per uno scopo diverso da quello relativo alla cessione sul mercato al fine di realizzare reddito. Essa, invece, è finalizzata a sostenere la produzione di beni o l’erogazione di servizi da parte dell’azienda e in un arco di tempo superiore all’esercizio. In altre parole, il costo può anche essere sostenuto in un’unica soluzione, ma l’utilità dell’immobilizzazione è destinata a restare tale nel medio lungo termine, anche per diversi decenni.
Le immobilizzazioni immateriali sono intangibili, ovvero si caratterizzano per il fatto di non essere fisicamente percepibili, come potrebbero esserlo un macchinario, un capannone, che in effetti fanno parte delle immobilizzazioni materiali. Tra le immobilizzazioni immateriali troviamo l’avviamento, che può essere definito il valore di un’azienda, la sua capacità di produrre redditi nel tempo. Un altro tipo di immobilizzazione immateriale possono essere considerate le spese pubblicitarie. Esse vengono realizzate per incrementare le vendite dei beni o servizi aziendali, per cui sono a tutti gli effetti un investimento con utilità pluriennale. Lo stesso dicasi delle spese per ricerca e sviluppo, ma anche dei diritti di utilizzazione delle opere di ingegno, dei brevetti industriali, dei costi di impianto e di ampliamento, per le licenze.
Vediamo cosa succede contabilmente per le immobilizzazioni, immateriali incluse. Ogni anno devono essere ammortizzate a bilancio, seguendo le percentuali previste dalla normativa civilistica per un lato e quella fiscale per l’altro. Ciò significa che su ogni esercizio grava una quota del costo complessivo, in funzione dell’apporto di utilità presunta garantita dall’immobilizzazione nel periodo. Questo costo va imputato al conto economico e deprime il risultato finale. L’art.2425 del Codice Civile spiega che l’ammortamento deve avvenire sistematicamente, nel senso che non è possibile incrementare o ridurre la percentuale di ammortamento di esercizio in esercizio, a seconda della convenienza. Un’azienda, per esempio, potrebbe volere aumentare l’ammortamento ricadente su un esercizio per deprimere gli utili del periodo, oppure al contrario potrebbe volere ridurne la quota per sostenere il risultato finale e migliorare così il bilancio. L’ammortamento, invece, deve avvenire seguendo un piano conforme.
Supponendo che il costo di impianto e di ampliamento di un’azienda sia pari a 1.000.000 di euro e sapendo che le norme civilistiche consentono di spalmarlo entro un periodo non superiore ai 5 anni, se l’azienda decidesse di ammortizzare tale costo proprio in 5 esercizi, significa che esso sarebbe imputato per ciascuno di esso per un quinto del totale, ovvero per 200.000 euro. Alla fine del terzo anno, quindi, l’azienda avrà ammortizzato i 3/5 del costo, cioè 600.000 euro e si troverà a dovere imputare nei restanti due esercizi in cui è possibile farlo altri 400.000 euro.
Vediamo cosa succede, però, se al termine del periodo di ammortamento consentito o anche prima che esso venga completato, l’immobilizzazione immateriale viene ceduta a terzi. Facciamo l’esempio di un brevetto acquistato per il costo di 10.000.000 di euro. Secondo la normativa fiscale, esso potrà essere deducibile fino al 50%, ma non fissa un numero massimo di anni entro il quale completare l’ammortamento, imponendo solo che esso debba concludersi non più tardi della sua durata legale e in assenza, per un periodo ragionevole e comunque non inferiore ai 2 anni. L’azienda può anche decidere di avvalersi di un ammortamento di tipo costante, decrescente o crescente.
Per semplicità di calcolo, supponiamo che l’azienda decida di ammortizzare il brevetto per 10 anni e secondo quote costanti, ovvero del 10% per esercizio. Ciò significa che potrà dedurre fiscalmente 5 milioni di euro in 10 esercizi, vale a dire 500.000 euro per esercizio. Questo è il costo annuale, che deprimerà ai fini fiscali il risultato d’esercizio. Ora, immaginiamo che al termine dei 10 anni, l’azienda decida di cedere a terzi il brevetto per la somma di 350.000 euro. Visto che aveva già ammortizzato sul piano fiscale questo costo per la quota massima consentita, resta da vedere se l’ammortamento civilistico sia avvenuto nello stesso arco di tempo o più lentamente o ancora più rapidamente. In ogni caso, i 350.000 euro incassati rappresentano una plusvalenza, che sarà sottoposta alla disciplina fiscale vigente.
Può anche accadere che un’immobilizzazione immateriale e non sia soggetta a un deprezzamento del suo valore, tale da rendere necessaria una svalutazione a bilancio. In questi casi, la rettifica deve riferirsi al valore originario del bene e deve essere indicata e motivata nella nota integrativa. Si pensi al caso di un eventuale brevetto per scattare foto nei primissimi anni di diffusione delle immagini digitali. Risulta essere evidente che il valore di quel brevetto non possa più essere mantenuto a bilancio, ma sia necessario finanche un suo azzeramento.