I costi di impianto sostenuti da un’impresa non trovano una specifica definizione normativa. Essi fanno riferimenti agli oneri affrontati all’atto della costituzione di una società o per l’accrescimento della capacità operativa esistente. Per questo sono anche noti come costi di impianto e di ampliamento.
Fanno parte dell’attivo patrimoniale e sono chiaramente spese non ricorrenti, quali relative alla costituzione di una società, come i costi per redigere l’atto costitutivo, comprese tasse e consulenze per la sua formulazione, ma anche quelli necessari per effettuare ricerche di mercato, studi preparatori, per la formazione del personale e ogni altro onere sostenuto per rendere possibile l’avviamento. Inoltre includono anche costi per l’ampliamento della capacità operativa aziendale, intesi non semplicemente per accrescere quantitativamente la produzione, bensì per allargarla ad ambiti non perseguiti precedentemente. Nel caso di un ampliamento di tipo quantitativo, per fare in modo che possano definirsi tali, i costi devono essere di natura non ricorrente, ovvero essere sostenuti per accrescere la produzione in misura straordinaria rispetto ai livelli attuali.
Riepilogando, per costi di impianto e di ampliamento si fa riferimento a quelli per la costituzione di una nuova impresa o di una nuova attività, per l’addestramento e la formazione del personale dipendente, per la riduzione del personale dipendente, come nei processi di ristrutturazione aziendali per i quali si rende necessario tagliare l’organico e fronteggiare le relative spese, i costi di avviamento per gli impianti di produzione.
Questi costi, dicevamo, sono parte dell’attivo patrimoniale e il Codice Civile concede all’impresa la possibilità di capitalizzarli, ovvero di spalmarli su più esercizi. Tuttavia, non si deve pensare che ciò avvenga al fine di agevolare l’impresa nella redazione del bilancio annuale, deprimendo il risultato finale, attraverso l’aumento dei costi e che tutte le spese sostenute possano essere oggetto di immobilizzazione, se l’impresa non è in grado di dimostrarne l’utilità pluriennale. Pertanto, nel caso di un investimento effettuato per il potenziamento della rete di vendita, per esempio, i costi sostenuti potranno essere considerati immobilizzazioni, a patto che essi lascino prevedere un aumento dei ricavi. All’atto stesso della costituzione della società, i costi inerenti all’atto costitutivo e alla formazione del personale dovranno giustificare l’avvio di un’attività con ritorni economici futuri attesi positivi. In altri termini, non vi è una capitalizzazione automatica delle voci di spesa che si ritengano essere di natura non ricorrente, ma risulta necessaria una valutazione voce per voce e basata sulla responsabilità di chi la effettua.
Come risulta essere possibile comprendere, parliamo di costi immateriali, per cui bisogna fare attenzione a fare in modo che essi non superino l’utilità attesa e che trovino giustificazione anno dopo anno, se iscritti nello stato patrimoniale. Questo significa che, se effettuata l’iscrizione, l’utilità futura attesa fosse venuta parzialmente meno, bisogna svalutare in proporzione i valori registrati. Sulla scorta di quanto detto, esistono tre casi a cui guardare per evitare di mantenere a bilancio valori sovrastimati, ovvero quando i risultati economici attesi si traducano in una riduzione degli utili, in perdite non permanenti o in perdite significative e non recuperabili. Nei primi due casi i valori a bilancio potranno essere mantenuti, nel caso in cui si prevedesse che i minori utili o le perdite inattese siano più che coperti dai risultati economici futuri dell’attività. Nel terzo caso, invece, qualora l’entità delle perdite superasse i risultati positivi futuri attesi, la svalutazione da effettuare sarebbe totale.
Non è possibile fare una disamina sintetica di tutti i costi di impianto che un’impresa potrebbe sostenere. Limitiamoci a quelli più ricorrenti. I costi di start up, ovvero sostenuti da un’impresa prima della sua costituzione, oltre che quelli legati all’ampliamento dell’attività ad ambiti non precedentemente coperti, dovranno essere imputati al conto economico dell’esercizio in cui sono sostenuti, oppure potranno essere capitalizzati al ricorrere delle seguenti condizioni
-I costi sono direttamente attribuibili alla nuova attività e sono limitati a quelli sostenuti nel periodo antecedente all’avvio.
-Il differimento degli oneri è accettato comunemente come prassi nel settore in cui si opera.
-Viene rispettato il principio della ricuperabilità dei costi.
I costi di start up devono essere spalmati in un arco di tempo breve rispetto alla data in cui sarà avvenuto l’avviamento, mentre se nel corso dell’avviamento si rendesse evidente che la parte rimanente di tali costi non potrà più essere recuperata, bisognerà procedere ad imputare la quota non ancora ammortizzata al conto economico dell’esercizio.
Quanto ai costi di addestramento e di formazione del personale, essi generalmente vanno imputati nell’esercizio in cui sono stati sostenuti. Tuttavia, la loro capitalizzazione diviene possibile nel caso in cui afferiscano all’avviamento di una nuova impresa o di un nuovo ramo d’impresa, così come nei casi di ristrutturazione aziendale, dove con tale espressione si concepisce una profonda riconversione dell’attività, in termini produttivi o amministrativi, di solito per ovviare a fasi di crisi e rilanciare l’impresa.