Il termine minusvalenza significa letteralmente minore valore e in economa viene utilizzato per definire la differenza negativa in un arco di tempo del valore di un’attività finanziaria o reale. Non si tratta di una perdita monetaria, ma di una riduzione di redditività, anche se in molti casi designa più semplicemente il minore prezzo di cessione di un bene, rispetto a quello di acquisto.
Dunque, la minusvalenza si può registrare nei casi di compravendita di azioni, di fabbricati, terreni, obbligazioni.
Facciamo un esempio, compro 10.000 azioni della società SPA a 3,50 euro, spendendo così mediamente 35.000 euro. Dopo un mese, rivendo 3.000 azioni a 2,80 euro, mentre dopo 6 mesi mi libero del restante pacchetto di 7.000 azioni al prezzo di 3,00 euro. In tutto, ho incassato 8.400 + 21.000 = 29.400 euro, ma avendo speso 35.000 euro, ho subito una minusvalenza di (35.000 – 29.400) = 5.600 euro.
Nel campo immobiliare, le minusvalenze sono meno frequenti, grazie al fatto che il valore di terreni e fabbricati tende a conservarsi nel tempo, anzi registrando generalmente una crescita. Non così è sempre, come stiamo verificando da qualche anno, in seguito alla crisi finanziaria ed economica.
Vediamo da un punto di vista fiscale come sono trattate in Italia le minusvalenza. Sappiamo che le plusvalenze, ovvero il maggiore valore ottenuto dalla cessione di beni o attività finanziarie rispetto al prezzo di acquisto, sono soggette al pagamento di un’imposta, pari al 26% sin dall’1 luglio del 2014, ad eccezione di quelle realizzate con la compravendita di titoli di stato, per i quali l’aliquota resta fissata alla percentuale agevolata del 12,50%. Le minusvalenze possono essere compensate con le plusvalenze entro i 4 anni successivi alla data di maturazione. Questo significa che se abbiamo subito una minusvalenza nell’esercizio 2014 sulla compravendita di obbligazioni, per ipotesi, le potremo compensare con i guadagni realizzati entro il 31 dicembre 2018.
Attenzione, però, perché la compensazione non avviene sempre, in quanto il fisco italiano sembra fare di tutto per creare confusione e dare vita a situazioni di iniquità. A tale proposito, le norme in materia distinguono tra redditi di capitale e redditi diversi. Le minusvalenze potranno essere compensate solo con le plusvalenze realizzate dai prodotti finanziari, che producono redditi diversi.
Per effetto del cambiamento delle aliquote, le minusvalenze dovranno essere ricalcolate con l’aliquota del 26%, per cui saranno ridotte al 76,92%, ovvero il rapporto tra 20%, la vecchia aliquota, e 26%. Ciò significa che le minusvalenze potranno essere detratte fiscalmente al 23,08% (100% – 76,92%). Quanto appena detto vale per l’adeguamento alla nuova aliquota, a partire dall’1 luglio 2014.
Quando le minusvalenze fanno riferimento a prodotti intestati a più titolari, esse vanno suddivise equamente in capo a questi. Se, ad esempio, alcune operazioni finanziarie sono riconducibili a un conto corrente intestato a 3 persone e hanno provocato una minusvalenza complessiva di 3.000 euro, ciascuno dei 3 titolari avrà diritto fiscalmente a una minusvalenza di 1.000 euro.
La diversa valutazione delle minusvalenze, a seconda che i prodotti su cui maturano siano considerati redditi di capitale o redditi diversi, dà origine a casi abbastanza strambi. Immaginiamo di avere acquistato quote di un fondo di investimento o di un Etf e di averle rivendute dopo un certo lasso di tempo, realizzando una plusvalenza pari a 3.000 euro. Ipotizziamo anche di avere acquistato nel corso dello stesso esercizio quote di un altro fondo o Etf, o anche dello stesso, ma di averci rimesso stavolta sempre 3.000 euro in termini di minusvalenze accusate.
Da un punto di vista concreto, il risultato ottenuto è nullo, in quanto abbiamo incassato 3.000 e perso 3.000. Per il fisco, però, le operazioni non si sono tra di loro compensate, perché sui 3.000 euro di plusvalenze bisognerà applicare l’imposizione fiscale prevista, mentre le minusvalenze non sono compensabili, a causa del fatto che i redditi percepiti dai fondi sono considerati da capitale, mentre le perdite rientrano tra i redditi diversi. La compensazione dovrà avvenire con altri strumenti.
Dunque, se si hanno minusvalenze, è possibile assorbire il credito fiscale, solo maturando un utile su obbligazioni, azioni, Etf su commodities e certificati di investimento.
A causa della farraginosità del sistema fiscale italiano, molti piccoli investitori puntano spesso ad effettuare alcune operazioni finanziarie con il solo obiettivo di compensare le minusvalenze. Si tratta di un comportamento sbagliato, perché non è legato alla redditività. Vero è, poi, che alcuni prodotti finanziari, come gli Etf, non essendo fiscalmente compensabili nel caso di produzione di minusvalenze, tendono ad essere scartati da taluni, anche quando si mostrano appetibili sotto altri profili.
In altri termini, non è la compensazione o meno delle minusvalenze a dovere guidare il comportamento di chi investe. L’obiettivo deve restare quello di ottenere il massimo rendimento, accettato il grado di rischio. In caso di dubbi, potete sempre recarvi in banca per richiedere la vostra posizione fiscale.