Tra gli indicatori aziendali utilizzati per capire quale risulta essere la condizione finanziaria di un’attività troviamo l’indice di liquidità primaria, che risulta essere il rapporto tra la somma della liquidità immediata e quella differita e le passività correnti. Esso esprime la capacità dell’azienda di coprire le uscite a breve termine generate dalle passività correnti con le entrate generate dalle voci maggiormente liquide delle attività correnti.
Prima di approfondire di cosa si tratta nel concreto, dobbiamo fornire altre definizioni. La liquidità immediata è la somma tra il denaro in cassa, l’attivo sul conto corrente e titoli finanziari nei confronti di terzi, posseduti da un’azienda. Le liquidità differite, invece, sono i crediti verso i clienti esigibili entro l’anno, oltre che i ratei attivi e risconti attivi. Infine, delle disponibilità fanno parte le rimanenze finali valutate al prezzo di vendita e i crediti oltre l’anno. Liquidità immediata più liquidità differita più disponibilità formano l’attivo corrente. Il passivo corrente è pari, invece, alla somma tra il saldo negativo di conto corrente, i debiti verso i fornitori in scadenza entro l’anno, l’IVA a debito accumulata e ratei passivi e risconti passivi.
Il rapporto tra attivo corrente e passivo corrente origina il quoziente di disponibilità, che indica la capacità di un’azienda di fare fronte agli impegni di breve termine con mezzi liquidi a disposizione e con le entrate future, entro l’anno, derivanti dal realizzo delle liquidità differite e delle disponibilità di magazzino. Più ristretto, come abbiamo visto sopra, è il concetto di quoziente di liquidità o indice di liquidità primaria, che segnala il rapporto tra liquidità immediata più differita e passivo corrente. Rispetto al rapporto precedente, infatti, non si tiene conto delle rimanenze di magazzino, per cui potremmo dire che se un’azienda si mostra solida con riferimento all’indice di liquidità primaria, essa è in grado di fronteggiare le scadenze a breve con la liquidità disponibile, senza che nemmeno si tenga conto dell’eventuale capacità ulteriore di ottenere liquidità dallo smobilizzo delle rimanenze.
Se il quoziente di liquidità è maggiore di uno, significa che la somma tra liquidità immediata e liquidità differite risulta superiore al passivo corrente, ovvero agli esborsi a breve attesi. Se, poi, il quoziente di disponibilità è maggiore di due, l’azienda segnala una condizione di solidità sul piano della liquidità molto forte, cosa che sarebbe un ottimo biglietto da visita per i fornitori, interessati chiaramente a incassare il prima possibile dalla vendita di beni e dall’erogazione di servizi.
Un’azienda deve sempre mostrarsi in grado di fronteggiare almeno le scadenze a breve con la liquidità posseduta, altrimenti potrebbe anche essere solida sul piano finanziario, ma incapace di onorare le sue obbligazioni in tempo. Una situazione di questo tipo peserebbe piuttosto negativamente sull’affidabilità percepita all’esterno, perché un fornitore non avrebbe molta voglia di averci a che fare e una banca non erogherebbe prestiti o aprirebbe un fido. Anche tra i dipendenti potrebbe crescere il dubbio che l’azienda non sia un pagatore puntuale e i migliori potrebbero andarsene. In ogni caso, il danno reputazionale per l’azienda si tradurrebbe in un costo, impattando negativamente le finanze anche di medio lungo termine. Questo perchè, per quanto appena spiegato, un fornitore tratterebbe con l’azienda magari alzando il prezzo per i beni e servizi offerti o non praticando alcuna forma di sconto verso un cliente considerato poco affidabile e appetibile, una banca presterebbe denaro solo a un interesse maggiore, incorporando il più elevato rischio di insolvenza del prestito, così come si riuscirebbe a fare fatica, specie in una situazione di piena occupazione, a trattenere tutti i dipendenti, magari dovendo alzare gli stipendi per quelli migliori.
Esiste una diretta correlazione tra l’indice di liquidità primaria e il margine di tesoreria. Questo è ottenuto come differenza tra liquidità immediata e liquidità futura da una parte e passività correnti dall’altra. Se esso risulta positivo, allora l’azienda ha sufficienti risorse con le quali fronteggiare le scadenze a brevi. Nel caso dell’indice di liquidità primaria, come scritto sopra, si dovrebbe ottenere un rapporto superiore a 1 per ricavare un segnale positivo sullo stato di liquidità aziendale.
Esiste anche una relazione con il capitale circolante netto, che si definisce quale differenza tra capitale circolante lordo e passività correnti. A sua volta, il capitale circolante lordo risulta dalla somma tra liquidità immediata, liquidità differita e rimanenze.
L’obiettivo degli indicatori sopra citati è quello rendere chiare le condizioni di liquidità a breve termine di un’azienda, che appaiono basilari per qualsiasi tipo di attività da questa praticata, perché nessuna programmazione sarebbe altrimenti possibili, se non si fosse nemmeno certi di riuscire ad adempiere a tutte le obbligazioni esistenti entro l’anno. Se l’indice di liquidità primaria risultasse negativo, infatti, si avrebbe una liquidità insufficiente a onorare le scadenze, per cui l’azienda dovrebbe aumentare la sua capacità di generare cassa, magari potenziando le vendite, se possibile. L’alternativa sarebbe meno piacevole, ovvero dilatare le scadenze, ovvero concordando con fornitori e banche un rinvio dei pagamenti loro dovuti.