Nel linguaggio aziendale, per capitale circolante netto si intende la differenza tra attività correnti e passività correnti. Questa espressione individua l’equilibrio finanziario di breve termine. Nel dettaglio, le attività correnti sono pari alle rimanenze più le liquidità immediate e i crediti a breve termine, mentre le passività correnti sono pari ai debiti finanziari più i debiti a breve termine.
Questo margine si definisce finanziario, in quanto è composto da voci non solamente operative, come i crediti verso i clienti, i debiti commerciali e le scorte di magazzino, ma anche altre di natura finanziaria e di breve termine, come debiti verso le banche, liquidità di cassa, assegni. Da un punto di vista aritmetico, il capitale circolante netto può anche ottenersi sottraendo dai finanziamenti a lungo termine il capitale fisso, vale a dire la somma tra capitale proprio e passività consolidate.
Nel linguaggio finanziario, il capitale circolante netto si definisce anche con l’espressione inglese working capital, che può essere tradotto con capitale funzionante, in quanto esprime quel valore rotante del capitale, che per la parte non coperta da attività correnti, richiede forme durevoli di copertura.
Riepilogando, il capitale circolante netto è la somma tra liquidità immediate, liquidità differite e magazzino, sottraendo i debiti verso le banche e le altre passività a breve. Tale margine rappresenta l’ammontare complessivo delle risorse finanziarie dell’impresa non immobilizzate, al netto delle passività di breve termine. Le attività correnti sono quelle di breve durata, che nell’arco dell’esercizio ruotano anche più volte, mentre le passività correnti sono forme di indebitamento a breve, che sono in moltissimi casi indispensabili per tenere in vita l’operatività aziendale, consistendo in un vero e proprio polmone finanziario, come nel caso di fidi bancari, debiti verso fornitori.
Per questo, il capitale circolante netto esprime anche lo stato di liquidità dell’azienda, vale a dire la sua capacità di fronteggiare obbligazioni a breve termine con i flussi finanziari generati dalla gestione tipica dell’impresa. Esso costituisce, quindi, l’eccedenza delle attività sulle passività di breve termine, anche se non segnala le proporzioni tra attivo e passività correnti. Per esempio, un capitale circolante netto di 100.000 euro è una cosa, se frutto della differenza tra attività correnti per 500.000 euro e passività correnti per 400.000 euro, un’altra è, invece, se deriva da attività correnti per 2 milioni di euro e passività per 1,9 milioni. Risulta essere evidente, infatti, come tra le due situazioni si mostri migliore la prima, in quanto segna la capacità dell’azienda di ottenere un discreto margine tra attività e passività, con queste pari all’80% delle prime. Nel secondo caso, invece, ammontano al 95%, per cui potrebbe anche accadere che con piccole variazioni negative, si passi da uno stato finanziario netto positivo di breve termine a uno negativo, mentre nel primo esempio servono movimentazioni negative più marcate per generare uno stato finanziario netto negativo nel breve termine.
Chi finanzia un’impresa guarda sempre al valore del capitale circolante netto, perché esso segnala la capacità dell’azienda di soddisfare tutte le sue obbligazioni nel breve termine. In altri termini, un capitale circolante netto positivo costituisce una sorta di condizione per il rimborso dei prestiti, dimostrando che l’azienda è in grado, attraverso i suoi crediti e con la vendita delle scorte di magazzino, di fare fronte agli impegni di breve termine, quali potrebbero essere un fido bancario o le passività commerciali.
Chiaramente la caratteristica principale del capitale circolante netto è che segnala in maniera tempestiva, in quanto le voci che compongono l’attivo sono liquide o prontamente liquide. Si pensi alla disponibilità di cassa, oppure alle scorte di magazzino, che per essere monetizzabili devono essere vendute ai clienti nei tempi ordinari del ciclo di mercato. Il discorso è diverso per i prestiti a medio lungo termine, che fanno riferimento generalmente al valore del patrimonio aziendale. Una banca, per esempio, può decidere di prestare 5.000.000 di euro a un’azienda, qualora l’attivo patrimoniale di questa ammontasse a un valore decisamente superiore.
Tuttavia, tale attivo è solo in parte, in genere, prontamente liquido, trattandosi per lo più di beni immobili, macchinari, che per essere monetizzati potrebbero richiedere persino anni. Questo non accade con l’attivo circolante, che per definizione riguarda componenti positive di breve termine, quindi, trasformabili in liquidità in poco tempo, se non, addirittura, già liquide. Infine, le immobilizzazioni non hanno un valore certo, in quanto frutto di cessioni sul mercato non immediate. Lo stesso non può dirsi del capitale circolante netto, frutto della differenza tra componenti attive e passive di breve termine dal valore sostanzialmente noto. Un’altra ragione per cui i creditori guardano con attenzione al valore di questo margine.