Il quoziente di disponibilità o current ratio è utilizzato dalle aziende per ottenere un’idea del grado di solvibilità. Esso è dato dal rapporto tra le attività correnti e le passività correnti. In sostanza, si confrontano i mezzi di possibile realizzo entro l’anno con i debiti a breve termine per capire in quali condizioni di liquidità versi un’attività economica. In sostanza, il quoziente di disponibilità segnala la capacità dell’azienda di fronteggiare i propri impegni a breve termine, comprendendo in essi anche le rate in scadenza entro l’anno di debiti accesi a medio lungo termine, utilizzando le proprie attività liquide o che possono essere liquidate prontamente.
Un rapporto pari a 1 suggerisce che un’azienda ha appena la possibilità di fronteggiare gli impegni a breve, attraverso l’utilizzo di liquidità e altre attività prontamente liquide. Contrariamente a quanto si possa credere, questo rapporto non è affatto soddisfacente, perché per ragioni di prudenza nella gestione aziendale, si dovrebbe tendere a un rapporto molto superiore a 1, anzi si ritiene che esso debba tendere a 2, in quanto bisogna tenere sempre conto sia di eventuali imprevisti sul fronte dei pagamenti che della non sempre facile possibilità di liquidazione di asset computati nel capitale circolante. In esso, infatti, vi rientrano la liquidità di cassa, i crediti a breve verso i clienti o commerciali, eventuali crediti di altra natura a breve e, infine, le scorte di magazzino. Queste ultime, in particolare, sono prontamente liquide, in teoria, perché si trasformano in denaro, una volta vendute. Tuttavia, un’azienda non può mai essere sicura che le proprie scorte verranno del tutto vendute entro l’anno. Si pensi a una crisi economica che abbassi notevolmente la domanda di beni e servizi, oppure all’imprevista obsolescenza di un prodotto per via di un repentino mutamento nelle preferenze dei consumatori o per il lancio sul mercato di nuovi prodotti, che nei fatti rendono superati i modelli precedenti. Un caso tipico si ha con l’elettronica di consumo, dove un modello di telefonino rischia di rimanere per lungo tempo in magazzino, a seguito dell’uscita di modelli concorrenti. Anche qualora l’azienda riuscisse a liquidare tutta la merce rimasta in magazzino, non è detto che lo faccia ai prezzi stimati. Risulta essere probabile, per esempio, che più passi il tempo senza che le scorte siano vendute e che maggiori sconti sarà costretta a praticare per liberarsene e monetizzare dalla loro cessione. Da qui, comprendiamo quanto difficile sia la valutazione esatta delle scorte di magazzino e, quindi, dell’intero attivo circolante.
Anche i crediti commerciali, ovvero quelli accordati ai clienti, potrebbero non rientrare nei tempi e nella misura previsti. Si pensi a una società produttrice di scarpe che vende a un grossista merce per un valore di 100.000 euro, incassando subito la metà della somma e accettando una dilazione di pagamento di 3 mesi per la rimanente parte. Se il cliente non rispettasse le scadenze o se per una qualsiasi ragione non fosse proprio più nelle possibilità di effettuare il pagamento, la società dovrebbe mettere in conto il rischio che solo parte di quel credito rientri entro l’anno o forse nemmeno un centesimo.
In definitiva, mentre i debiti a breve sono certi, le attività no, se non per la parte relativa alla liquidità. Per quanto appena detto, si ha una relazione diretta tra capitale circolante netto e quoziente di disponibilità. Il primo è pari alla differenza tra attività e passività di breve periodo ed esprime un valore assoluto. Così, nel caso di capitale circolante netto di 100.000 euro, significa che l’azienda detiene attività a breve in misura superiore alle passività a breve di tale importo. Tuttavia, esso non segnala il rapporto tra le due misure che lo costituiscono. Per esempio, un capitale circolante netto di 100.000 frutto di attività pari a 100 milioni e a passività pari a 99,9 milioni di euro sarebbe poco rassicurante, perché nei fatti basterebbero minimi scostamenti delle prime, di appena lo 0,1%, per azzerare il vantaggio stimato e fare incorrere la società in una crisi di liquidità a breve termine. Questa eventualità negativa viene indicata proprio dal quoziente di disponibilità, che nel caso specifico risulterebbe di 1,001, segnalando come l’equilibrio tra attività e passività a breve sia abbastanza precario.
L’indice di disponibilità viene monitorato non solo dai dirigenti della società, ma anche da creditori e fornitori. Questi desiderano, infatti, non solo che il capitale circolante netto sia positivo, ma pure che il rapporto tra attività e passività a breve sia il più alto possibile. Come dicevamo, più questo risulta superiore a 1, minori sono i rischi di liquidità attesi e maggiore la propensione di una banca a concedere credito o di un fornitore a praticare dilazioni di pagamento all’azienda. Ovviamente nel caso di attività inferiori alle passività a breve, capitale circolante netto negativo, il quoziente di disponibilità risulta essere inferiore a 1, numeratore inferiore al denominatore, uno dei casi certamente più gravi per la gestione aziendale e che va affrontato di immediatamente.