Il margine di struttura evidenzia la differenza tra il capitale proprio, vale a dire quello apportato dai soci, e le attività immobilizzate. Il suo significato rimarca la capacità dell’azienda di coprire gli investimenti fissi con i mezzi propri. Il margine è positivo quando il capitale proprio supera il livello delle immobilizzazioni, negativo nel caso contrario. Nel caso in cui le due misure coincidano, si ha un margine perfettamente nullo, anche se nella pratica non capita quasi mai.
Vediamo cosa significa un margine di struttura positivo. Per la definizione di cui sopra, esprime la parte in più di capitale apportato rispetto alle attività immobilizzate. Questa misura, espressa in valore monetario, individua approssimativamente il capitale circolante, ovvero quella parte del capitale costituito da scorte di magazzino, liquidità, crediti a breve, la cui durata è generalmente molto breve e inferiore all’anno. Si definisce circolante, appunto, perché entra in circolazione anche più volte nel corso dell’esercizio.
Per l’equilibrio patrimoniale, secondo cui le attività immobilizzate devono essere finanziate con passività consolidate e il patrimonio netto, il margine di struttura evidenza anche l’eventuale fabbisogno di passività consolidate aziendale. In altre parole, esso segnala se le fonti finanziate nel medio lungo periodo sono in grado o meno di coprire il valore degli investimenti destinati a restare nell’azienda.
Dunque, un margine di struttura positivo è indice del fatto che il capitale proprio dell’azienda è stato in grado non solo di finanziare le attività immobilizzate, ma anche parte del capitale circolante. In una situazione di equilibrio finanziario, il margine di struttura dovrebbe essere non negativo, ovvero positivo o nullo. Se, infatti, esso risulta essere nullo, è la prova che almeno parte degli investimenti duraturi deve essere finanziata con il ricorso alle passività consolidate, ovvero con debiti accesi nel medio e nel lungo termine.
Nella sostanza, se un’azienda registra un margine di struttura positivo, essa è in grado di finanziare totalmente gli investimenti duraturi, senza ricorrere ad alcuna forma di indebitamento. Nonostante si tratti di una situazione ideale, essa difficilmente si riscontra nella realtà, perché in genere le aziende sono solite finanziare gli investimenti fissi in parte con capitale proprio, ma in parte anche ricorrendo all’indebitamento finanziario e non. Questo è particolarmente vero per le realtà aziendali dove il capitale fisso rappresenta il grosso degli investimenti complessivi. Si pensi, per esempio, alle utility, compagnie telefoniche, società elettriche, che sono mediamente sovraindebitate rispetto alla media delle imprese di altri settori. In questi casi, infatti, ingenti capitali richiedono non solo apporti di capitale proprio, ma anche la contrazione di debiti con le banche o direttamente sul mercato, attraverso emissioni obbligazionari.
Se il margine di struttura è raramente positivo, allora significa che esso tende ad essere negativo nel mondo delle imprese. Un’impresa tipo è solita contrarre debiti per una parte almeno degli investimenti duraturi realizzati. Non è un fatto negativo che ciò accada, sempre che vi sia attenzione al rapporto tra mezzi propri e mezzi di terzi. In altri termini, è necessario che l’indebitamento sia contenuto, anche se non esistono misure valide per tutte le realtà produttive. In genere, se le attività immobilizzate vengono finanziate fino a un terzo del loro valore attraverso il ricorso all’indebitamento, possiamo affermare che ci troviamo davanti a un’impresa poco indebitata, se esse vengono finanziate per una misura superiore al terzo e fino a due terzi del loro valore con mezzi esterni, l’impresa può considerarsi abbastanza indebitata, mentre se il debito finanzia oltre i due terzi del capitale fisso aziendale, siamo davanti a una realtà molto indebitata e che, pertanto, potrebbe presentare criticità finanziarie.
Una società è tenuta a trovare il giusto compromesso per evitare due situazioni opposte potenzialmente negative, imbrigliare eccessivi capitali propri potrebbe richiedere ai soci uno sforzo superiore al normale. Nel caso di una quotata in borsa, si rischia di tenere alla larga i potenziali azionisti, ad esempio, a causa degli scarsi dividendi distribuiti per accumulare riserve da dedicare agli investimenti. Al contrario, indebitarsi eccessivamente sgrava nella prima fase i soci, ma in una seconda li chiama a contribuire indirettamente, attraverso minori dividendi, a loro volta per effetto dei risultati aziendali depressi dagli interessi elevati pagati sulle passività consolidate.
Visto che nella pratica quotidiana, come abbiamo visto, è molto più comune riscontare un margine di struttura negativo, al fine di evitare valutazioni eccessivamente rigorose, si è soliti fare riferimento spesso più al margine di struttura secondario. Esso è formalmente pari alla differenza tra i capitali permanenti e le attività immobilizzate. I primi sono dati dalla somma tra il capitale proveniente dai soci e il capitale di debito a medio lungo termine. Se il margine di struttura secondario assume valori positivi, significa che le fonti di finanziamento durevoli coprono non solo gli investimenti a lungo termine, ma anche parte del capitale circolante. Nel caso di risultato negativo, invece, siamo davanti a flussi finanziari con scadenze non coincidenti tra le fonti di finanziamento e le caratteristiche delle attività investite.