Si definisce apporto di capitale l’insieme delle risorse conferite dall’imprenditore, per l’impresa individuale, o da un socio, per una società, all’atto di costituzione dell’impresa o quando si procede all’aumento di capitale.
Diverso è il capitale di risparmio, che è dato dalla somma di tutti gli utili realizzati dall’impresa e non prelevati dall’imprenditore individuale o non distribuiti ai soci. Trattandosi di utili realizzati e rimasti in azienda, di fatto finiscono per finanziarla. Non è un caso che le riserve che vengono così ad essere costituite si considerino anche forma di autofinanziamento d’impresa. Nei fatti, più gli utili non vengono distribuiti, più è la massa patrimoniale attiva. Se siamo in presenza di una società per azioni, per esempio, la bassa o nulla distribuzione di utili deprime i corsi azionari, ma nel tempo li sostiene, data proprio la robusta situazione patrimoniale a cui darebbe origine, anche in previsione di uno stacco straordinario di dividendi.
Iniziamo con il dire che quando un’azienda si costituisce ha sempre bisogno di un minimo capitale, ovvero di risorse per l’acquisto di beni durevoli, oltre che per l’anticipo di spese per le gli input della produzione, ovvero lavoro e materie prime. Pertanto, sono necessari apporti, che possono essere in denaro o in natura. Nel primo caso, nulla da aggiungere, se non che gli apporti in denaro possono anche consistere in crediti girati dal socio alla società oppure in titoli finanziari. Quanto agli apporti in natura, abbiamo a che fare con beni disgiunti e beni congiunti. I primi sono beni che non sono legati da rapporti con altri. Nel secondo caso parliamo di rami di azienda o intere aziende già funzionanti. L’apporto del socio può anche essere misto, ovvero sia in denaro che in natura.
Gli apporti devono essere valutati all’atto del conferimento, sia per stabilire quale quota rispetto al totale spetti al socio che per determinare il valore sociale iniziale, quello da cui si partirà e al quale verranno aggiunti di periodo in periodo gli utili e le perdite per aggiornarlo. Nel caso in cui gli apporti fossero di denaro, questo sarà valutato al valore nominale, mentre per gli apporti in beni disgiunti si terrà conto della loro utilità futura residua, del costo di acquisto e delle condizioni. Per i beni congiunti, invece, bisogna tenere conto anche dell’avviamento, un valore che certifica il più che una società avrebbe dall’essere già attiva, operante, vuoi per il brand, vuoi per la clientela già fidelizzata.
Proprio in riferimento a questo punto, va specificato che il valore di un’azienda avviata tende ad essere diverso di quello di una di nuova costituzione. La prima gode di una nomea, ha già clienti, strutture operative, personale dipendente formato e con esperienza, fornitori, rapporti consolidati con le banche, pratiche commerciali messe in atto. Tutti elementi di cui non può disporre ancora un’azienda che deve muovere i suoi primi passi. Dunque, quel più che una società avviata possiede come valore, al netto di tutto il resto, rispetto a una società appena nata è proprio l’avviamento, un elemento di non facile determinazione. Attenzione, perché non è detto che tale valore sia positivo. Si pensi al caso di una società travolta da uno scandalo, come per esempio una società nota per non avere rispettato le norme ambientali o per avere discriminato lavoratori o clienti sulla base di caratteristiche personali. Insomma, l’avviamento potrebbe anche avere un valore negativo, per cui la società avviata varrebbe meno di una di nuova costituzione.
Dunque, in sede di costituzione di un’azienda, i soci o il singolo imprenditore devono apportare il capitale necessario per l’avvio dell’attività. Questo potrà essere in denaro o in natura. Nel secondo caso, può consistere in beni slegati da caratteristiche di complementarietà con altri beni, oppure in beni complementari rispetto ad altri. Tali beni vanno valutati, al fine di capire quale sia il valore di partenza della società e, quindi, se nel tempo subirà un incremento o una riduzione del patrimonio, per effetto rispettivamente di utili o perdite d’esercizio. Come sopra accennato, gli apporti di capitale possono avvenire anche in una fase successiva alla costituzione, ovvero in sede di aumento o ricapitalizzazione. Si pensi a una società per azioni oberata dai debiti. Potrebbe emettere nuove azioni, in modo da incassare nuova liquidità da destinare, almeno in parte, a ripagare i debiti, con impatto positivo sui conti annuali, grazie ai minori interessi da versare ai creditori. Chiaramente, l’emissione di nuove azioni, ovvero gli apporti di capitale da parte di terzi, riducono il peso del singolo socio esistente. Ciò si indica anche con il termine diluizione del capitale per le spa, perché una cosa è detenere, per esempio, 1.000 azioni su 1.000.000, un’altra restare in possesso delle 1.000 azioni su un totale aumentato a 2.000.000.