Ebit è un acronimo inglese e sta per Earning before interest and taxes, ovvero risultato prima degli interessi e delle tasse. Nel linguaggio aziendale, esso esprime l’utile ottenuto dall’impresa prima di avere sostenuto gli oneri finanziari, così come quelli fiscali. In Italia, è anche noto come reddito operativo aziendale, anche se ormai la terminologia inglese la fa da padrona anche tra la stampa finanziaria e non solo.
Concettualmente, l’Ebit indica la capacità dell’azienda di remunerare il capitale, compresso quelli di terzi, debito, e il proprio, patrimonio netto. Il rapporto tra Ebit e Capitale Investito Netto fornisce il ROI o Return On Investment, ossia il rendimento dell’investimento.
Di solito, l’Ebit viene associato anche al Margine operativo netto, MON, ma non coincide con esso, in quanto si tratta non solo del reddito operativo di un’impresa, ma anche degli oneri e i proventi derivanti dalle gestioni accessorie, come potrebbero essere i proventi derivanti dalla gestione attiva della liquidità o di immobili di proprietà.
In formula, l’Ebit può essere ricavato dalla seguente equazione, Ebit = MON + PGA –OGA + PFIN, dove MON sta per margine operativo netto, PGA per proventi della gestione accessorie, OGA per oneri della gestione accessorie e PFIN per proventi della gestione finanziaria attiva.
In sintesi, l’Ebit segnala la capacità di un’impresa di generare reddito dalle operazioni svolte nel corso dell’esercizio, ignorando sia l’aspetto fiscale, sia la struttura del capitale.
Il significato dell’Ebit diventa molto importante quando bisogna comparare due o più imprese, operanti nello stesso settore, ma che potrebbero presentare risultati finali molto diversi e influenzati sia dalla diversa struttura del capitale che dal pagamento di imposte in misura diverse, per esempio, perché attive in paesi differenti. In altre parole, un investitore, nel momento in cui deve valutare se e quanto acquistare un’impresa quotata in borsa, deve leggerne i bilanci e scoprire se essa sia effettivamente in grado di generare reddito e se eventualmente più o meno di un’altra.
Si consideri il caso di un’azienda con un risultato finale negativo, ma influenzato dal pagamento di interessi elevati per il capitale di terzi, ovvero per l’alto grado di indebitamento. L’azienda sarebbe in grado di generare reddito, ma non lo fa, in quanto la struttura del capitale risulta molto sbilanciata in favore del debito. Servirebbero, per ipotesi, maggiori mezzi propri, magari apportati attraverso un aumento di capitale. In questo modo, l’esercizio sarebbe gravato da minori oneri finanziari e la redditività dell’azienda sarebbe rilanciata.
Ecco, quindi, che l’Ebit consente sia la comparazione tra imprese, sia la valutazione del prezzo equo di acquisto. In genere, chi scala una società quotata è disposto a pagare un multiplo dell’Ebit o meglio ancora dell’Ebitda, che si distingue dal primo perché è il reddito prima delle imposte, degli interessi e degli ammortamenti. Il mercato è a sua volta in grado di valutare se una società sia oversold o overbought, cioè sotto o sopravvalutata, rapportando il prezzo delle sue azioni all’Ebit dell’esercizio dato e effettuandouna comparazione con il rapporto riscontrato tra le imprese dello stesso settore, magari operanti nella medesima area.
Gli interessi possono essere inclusi o esclusi dall’Ebit, a seconda della loro natura. Se un’azienda concede un credito al cliente, per esempio, estendendo i termini di un pagamento, è molto probabile che i proventi relativi siano inclusi nell’Ebit, perché sono legati all’attività caratteristica. Diverso è il caso, invece, di un’azienda, che matura interessi dall’investimento di parte della sua liquidità in obbligazioni, anche se non si tratta di una realtà finanziaria. In questa seconda ipotesi, è assai probabile che i proventi finanziari non vengano inclusi nel computo. L’inclusione o l’esclusione, quindi, rientrano spesso nella sfera discrezionale di chi redige il bilancio.
Dunque, tra le pieghe dei conti aziendali è sempre necessario guardare non solo e non tanto al risultato finale di un periodo temporale, ovvero all’utile o alla perdita netta, ma all’esito della gestione caratteristica, che rappresenta pur sempre il core business della società. Può accadere, infatti, che molti risultati siano tenuti a galla dalla gestione finanziaria, mentre il reddito operativo sia negativo. Se il dato si riscontra per un periodo più o meno prolungato, non è affatto indicatore di uno stato positivo dell’azienda, indifferentemente che abbia maturato utili anche elevati, perché significa molto più semplicemente che la stessa azienda dovrebbe cambiare mestiere e dedicarsi alla gestione finanziaria soltanto e non a quella caratteristica, che evidentemente va male e brucia risorse, invece che crearne.
Un Ebit elevato e un risultato finale basso o negativo potrebbe rispecchiare una legislazione fiscale poco favorevole nel paese in cui la società ha sede, segnalando la possibile necessità di operare altrove. Infine, lo stesso potrebbe dirsi per il caso di una struttura del capitale inadeguata, che segnala la necessità di una ricapitalizzazione o di cedere alcuni asset, al fine di smaltire il peso del debito e ridurre gli oneri finanziari.