L’indice di redditività del capitale investito è sintetizzabile anche con l’acronimo inglese ROI, che sta per Return on Investment. Esso esprime la capacità dell’azienda di generare reddito da un capitale investito, segnalando l’efficienza della gestione.
Il ROI è pari al rapporto tra il risultato operativo e il capitale investito netto operativo, dove per risultato operativo si intende il reddito derivante dalla sola gestione caratteristica, mentre per capitale investito netto operativo si intende l’ammontare degli investimenti effettuati, al netto degli ammortamenti e degli accantonamenti.
Il ROI pone problemi da un punto di vista del calcolo. Per iniziare, abbiamo al numeratore un flusso e al denominatore uno stock. Risulta essere il problema legato anche al computo del famoso rapporto tra debito e Pil di un bilancio statale, dove la variabile di flusso. Al fine di ottenere l’omogeneità delle due variabili, si può utilizzare la semisomma del capitale investito all’inizio del periodo e quello risultante alla fine dello stesso. Altro problema, visto che il denominatore tende a ridursi per la crescita degli ammortamenti, il ROI tende ad essere crescente di esercizio in esercizio, anche restando stabile in valore assoluto o, addirittura, riducendosi, per il solo fatto che la base a cui viene rapportato diventa di anno in anno più piccola.
Orientativamente, il ROI può essere confrontato con i tassi applicati sui capitali presi in prestito, al fine di verificare l’impatto sul ROE o Return on Equity. Questo perché se il ROI risultasse inferiore ai tassi sui prestiti, significherebbe che il risultato derivante dalla gestione caratteristica è più basso di quello che la stessa azienda dovrebbe pagare per prendere in prestito i capitali da terzi per effettuare gli investimenti. Esempio, investo 1.000.000 di euro per l’acquisto di un macchinario per la produzione. Nel corso del primo anno di suo impiego, la gestione caratteristica ha esitato un risultato di 40.000 euro. Ora, se l’investimento era stato effettuato con un prestito bancario per l’intera somma e al tasso del 5%, significa che l’azienda pagherebbe l’investimento più di quanto non gli renda, per cui il ROE si starebbe riducendo.
Immaginando che il suddetto macchinario sia ammortizzabile ai fini civilistici e fiscali in 10 anni, otteniamo che nell’anno successivo al primo di sua introduzione, esso viene abbattuto di 100.000 euro per il calcolo del ROI, per cui questo tenderebbe a crescere, anche se il risultato della gestione caratteristica, per ipotesi, restasse lo stesso. I 40.000 euro di cui sopra, infatti, si rapporterebbero ai 900.000 euro del capitale ammortizzato. L’anno successivo ancora, a parità sempre di gestione caratteristica, il ROI salirebbe al 5%, capitale ammortizzato al 20% e pari a 800.000 euro, per cui l’azienda potrebbe convincersi di essere già in grado di coprire i costi legati proprio al capitale investito, quando non è esattamente così.
Vediamo per quale ragione, poi, bisogna tenere in considerazione il reddito operativo per il calcolo del ROI e non il risultato finale d’esercizio. Il discorso è abbastanza semplice, sull’utile o perdita incidono variabili non necessariamente legate alla gestione caratteristica, come operazioni di natura finanziaria o straordinaria, quali, per esempio, cessioni di immobili o alienazioni di azioni, quote di capitale in altre società. Un’azienda potrebbe anche chiudere un esercizio in attivo, ma per operazioni che nulla hanno a che vedere con la gestione caratteristica, verso la quale sono diretti, invece, i capitali investiti.
Nell’esempio sopra esposto, il macchinario viene acquistato dall’azienda per la produzione e la maturazione, quindi, di un reddito positivo da essa. Supponiamo che a fronte di un reddito operativo di 40.000 euro si registri un utile netto di 100.000 euro, frutto anche di operazioni straordinarie e finanziarie per un valore netto positivo complessivo di 60.000 euro. Sarebbe alquanto fuorviante supporre che il ROI sia del 10% per il primo esercizio di impiego del macchinario, perché il capitale investito ha generato non tutti i 100.000 euro dell’utile, ma solo la parte strettamente connessa alla gestione caratteristica.
A sua volta, il ROI può essere diviso in due sue componenti fondamentali
(risultato operativo/ricavi delle vendite) x (ricavi delle vendite/capitale investito)
Ovvero ROS x ROT, dove ROS sta per Return on Sales, reddito generato dalle vendite, mentre ROT è il tasso di rotazione del capitale investito. Questa scomposizione consente di capire, se le variazioni del ROI sono dovute a una modifica del tasso di redditività sul venduto o a cambiamenti subiti dal tasso di rotazione del capitale investito.
Quanto al capitale investito, esso è pari al capitale circolante sommato a quello fisso. Il capitale circolante, a sua volta, è frutto della somma tra scorte, crediti e cassa, quello fisso, invece, per sua natura ha un orizzonte temporale più lungo, ovvero superiore all’esercizio.
In definitiva, il ROI ci consente di misurare quale sia stato l’apporto del capitale investito per aumentare il reddito operativo, ovvero generato dall’attività centrale dell’azienda.