L’insieme degli investimenti di medio lungo termine di un’impresa prende anche il nome di attivo immobilizzato.
Esso si distingue in immobilizzazioni materiali, immobilizzazioni immateriali e immobilizzazione finanziarie. Le immobilizzazioni materiali sono quegli elementi fisici del patrimonio aziendale destinati a essere impiegati durevolmente all’interno dell’attività produttiva. Parliamo di impianti, macchinari, fabbricati, attrezzature, automezzi, arredi.
Le immobilizzazione immateriali sono beni di proprietà o diritti, privi di consistenza fisica. Esempi possono essere gli oneri pluriennali, sostenuti non in cambio di acquisti di beni fisici, come nel caso di investimenti pubblicitari, in ricerca e sviluppo, il costo di avviamento, brevetti e marchi.
Le immobilizzazioni finanziarie sono derivanti da investimenti di natura finanziaria, destinati a essere impiegati durevolmente nell’azienda. Tra queste rientrano le partecipazioni in altre società, ma anche concessioni di prestiti a medio lungo termine.
Dunque, l’attivo immobilizzato è composto dagli elementi del patrimonio che rimangono a disposizione dell’impresa per un periodo prolungato, per cui possono essere utilizzati più volte e contribuiscono al risultato societario gradualmente nel tempo, attraverso un loro uso diretto o indiretto.
In definitiva, il patrimonio di un’azienda è l’insieme di tutti i beni a sua disposizione, al netto dei debiti verso terzi. Sulla base della durata del loro utilizzo e della loro permanenza all’interno dell’azienda, possiamo distinguerlo in attivo circolante e attivo immobilizzato. Il primo è costituito dall’insieme degli investimenti di breve durata, destinati a rimanere in azienda per un periodo inferiore all’esercizio.
Dunque, l’attivo immobilizzato si distingue da quello circolante, perché per esso si intendono quei componenti del patrimonio, che contribuiscono alla produzione dell’utile d’impresa per un periodo superiore all’esercizio. Pensiamo alla differenza tra le rimanenze di magazzino e a un capannone. Le prime sono le eccedenze di produzione rimaste invendute. La loro permanenza nel patrimonio aziendale è destinata a essere breve, ovvero il tempo di collocarle sul mercato. Pur essendo una componente positiva del patrimonio, quindi, possiamo considerarle passeggere. Un’azienda con rimanenze pluriennali, infatti, sarebbe sostanzialmente caratterizzata da una sovrapproduzione costante, non sostenibile oltre un certo periodo, in quanto porterebbe alla chiusura. Vero è che ogni anno, in genere, un’azienda registra rimanenze di magazzino, ma non sono le stesse dell’esercizio precedente, ma il frutto degli ordini frequenti verso i fornitori, a fronte delle vendite ai clienti.
Un capannone, invece, tende a contribuire per più anni al risultato d’impresa, accogliendo la produzione, tanto che il suo costo di acquisizione deve necessariamente essere diviso nell’arco dei decenni, in quanto non sarebbe concepibile che gravasse solo su quello in cui è avvenuto l’esborso monetario. Lo stesso dicasi per un macchinario, compreso quello impiegato per l’ufficio, come una stampante, un PC, destinati a durare oltre l’anno, probabilmente svariati anni.
Meno immediato, ma del tutto simile è il ragionamento per le altre tipologie di attivo immobilizzato, ovvero gli investimenti immateriali. Si pensa ai costi sostenuti per una campagna pubblicitaria. Essi gravano da un punto di vista finanziario in un arco generalmente ristretto di tempo, per esempio, quando l’azienda effettua una pubblicità massiva per farsi conoscere al grande pubblico o nelle fasi iniziali della sua attività, ma tendono a maturare risultati nell’arco degli anni, anche se non troppi, in assenza di un ciclo pubblicitario successivo a distanza di un certo periodo. I brevetti rientrano in questa categoria. Se ho acquisito da un ricercatore o da un’altra azienda un brevetto, esso comporta una spesa iniziale abbastanza elevata e spesso effettuata in un’unica soluzione, ma su di esso potrò impostare le vendite del prodotto derivato per molti anni e per un periodo abbastanza lungo anche in regime di monopolio, come consentono le normative, ovvero garantendomi grandi profitti.
Dello stesso tipo sono gli attivi patrimoniali, come le partecipazioni in altre società o i crediti di medio lungo termine. Se un’azienda detiene un pacchetto azionario in un’altra società, questo contribuirà ai suoi risultati d’esercizio e in un arco di tempo medio lungo, specie se si tratta di una partecipazione di controllo e non speculativa, che presuppone l’interesse della società titolare a restare nel capitale della controllata. Si consideri, lo stesso vale per gli altri investimenti immobilizzati, che questi contribuiscono al risultato d’impresa in due occasioni, nel corso del loro utilizzo, ovvero quando vengono impiegati all’interno dell’azienda, e all’atto della loro dismissione, come nel caso di rivendita di un fabbricato non più utile all’attività produttiva o della cessione di una partecipazione azionaria. Si tratta di una plusvalenza, ovvero della differenza tra il prezzo di cessione e il costo sostenuto per l’acquisizione. Anche queste componenti di reddito, anche se maturano in un esercizio specifico, sono il frutto di una permanenza pluriennale dell’investimento immobilizzato, che le norme fiscali, infatti, consentono di sottoporre a una tassazione alternativa e sostitutiva di quella ordinaria, al fine di incidere con aliquote inferiore sul risultato.