Il risparmio amministrato è spesso confuso con il risparmio gestito. In effetti, le due definizioni appaiono molto simili e ciò aumenta la confusione tra i risparmiatori, mentre divergono, in particolare, in relazione al trattamento fiscale. Prima di esplicitarne le differenze, dobbiamo precisare che esistono due categorie di redditi di natura finanziari, quelli da capitale, ovvero dividendi e interessi o cedole, e i redditi diversi, anche noti come plusvalenze.
Esistono fiscalmente tre regimi per il trattamento di questi componenti reddituali, tra i quali quelli per il risparmio amministrato che per quello gestito, regime della dichiarazione, in cui è l’investitore a decidere gli investimenti e a compiere gli adempimenti fiscali, riportando plusvalenze e minusvalenze nella dichiarazione dei redditi, risparmio amministrato, in cui le decisioni di investimento rimangono in capo all’investitore, ma le dichiarazioni fiscali sono delegate all’intermediario finanziario. Questo è titolato ad imporre sulle plusvalenze l’imposta del 12,50% o del 26%, a seconda delle tipologie reddituali. Troviamo poi il risparmio gestito, in cui il cliente delega alla banca o alla società di gestione del risparmio la strategia per gli investimenti, e sempre la banca dove sono depositati gli investimenti o la sgr sarà titolata a sottoporre sia i redditi da capitale che quelli diversi all’imposizione fiscale.
Dunque, nel regime del risparmio amministrato, il cliente delega all’intermediario finanziario gli adempimenti fiscali, ovvero la base imponibile per il calcolo delle plusvalenze da sottoporre a tassazione. Lo stesso è tenuto a versare l’imposta all’Erario.
Le eventuali minusvalenze riportate possono essere utilizzate a compensazione delle plusvalenze realizzate dal medesimo soggetto, sempre che tale compensazione avviene nello stesso periodo d’imposta o entro i successivi quattro.
In caso di revoca dell’opzione o di chiusura di tutti i rapporti soggetti al regime del risparmio amministrato intrattenuti con il medesimo intermediario, questo rilascia al cliente una certificazione delle minusvalenze residue, che potranno essere compensate nello stesso anno d’imposta o entro i quattro successivi, nell’ambito di altri depositi titoli sottoposti al regime del risparmio amministrato o dichiarativo.
Il regime del risparmio amministrato riguarda, quindi, il caso in cui l’investitore affida i propri risparmi a un intermediario finanziario per il tramite di un contratto di amministrazione e custodia, ma senza delegarne le gestione degli investimenti, le cui scelte restano in capo al cliente. Al contrario, gli adempimento di natura fiscale devono essere svolti dall’intermediario, che è tenuto a calcolare l’imposta dovuta al Fisco in base all’aliquota corrente per ciascuna operazione, garantendo il pieno anonimato dell’investitore.
Le imposte sono così calcolate solo sulle plusvalenze realizzate effettivamente a seguito di operazioni di compravendita e possono essere compensate con le minusvalenze, anche dette capital loss. Questa compensazione può aversi solo tra redditi della stessa natura, nel senso che, per esempio, non è possibile compensare plusvalenze realizzate su partecipazioni qualificate, quelle pari a almeno il 25% del capitale o al 20% dei diritti di voto in assemblea ordinaria per le società non ordinarie, al 5% del capitale o al 2% dei diritti di voto per le società quotate, con le minusvalenze accusate da partecipazioni non qualificate. Come sopra detto, qualora il valore delle minusvalenze risultasse superiore a quelle delle plusvalenze, ovvero se le perdite superano i guadagni, la differenza negativa potrà essere compensata nell’anno e entro i successivi quattro periodi di imposta.
Riassumiamo in sintesi le caratteristiche saliente di un regime di risparmio amministrato, per ciascuna operazione, i redditi diversi sono tassati, con applicazione da parte degli intermediari abilitati delle imposte sostitutive, tenendo conto delle aliquote vigenti, le plusvalenze da sottoporre a tassazione si calcolano con il costo medio ponderato, le minusvalenze possono essere compensate con le plusvalenze, se conseguite nello stesso periodo d’imposta e presso lo stesso intermediario, entro i successivi 4 anni, il contribuente viene escluso dal monitoraggio fiscale, per cui gode così dell’anonimato pieno, l’applicazione del regime delle plusvalenze derivanti dalla detenzione di partecipazioni qualificate non è possibile per il risparmio amministrato, essendo obbligatorio il regime dichiarativo.
Pertanto, l’intermediario calcola le plusvalenze e le minusvalenze per ogni singola operazione di cessione, computando il costo con il metodo del prezzo medio di acquisto. Detraendo le eventuali perdite subite, se risulta un utile, su di questo deve essere imposta un’aliquota del 26%, 12,5% se si tratta di titoli di stato. Se risulta, invece, una minusvalenza, sarà possibile utilizzarla a compensazione per le plusvalenze realizzate successivamente ed entro quattro anni, dato che su quelle realizzate nello stesso periodo d’imposta è stata trattenuta l’imposta e non rientrano più nel conto.
Per chi avesse optato per il regime dichiarativo, la responsabilità degli adempimenti fiscali ricade sul contribuente o sull’intermediario finanziario. Quanto alle aliquote, come sopra accennato esse sono pari al 12,50% per i titoli di stato emessi nella UE e equiparati; al 26% in tutti gli altri casi. Risulta essere previsto un acconto del 26% per gli Etf non armonizzati, mentre il saldo è da regolare in sede di dichiarazione dei redditi.