Il margine di intermediazione è una voce del bilancio di un istituto di credito e consiste nella somma tra interessi attivi e interessi passivi, al netto delle rettifiche sui crediti, margine di interesse rettificato, e i dividendi e gli altri proventi, ricavi netti per servizi, profitti e perdite per operazioni finanziarie e altri proventi netti di gestione.
Il margine lordo di intermediazione è determinato secondo i principi dell’International Account Standard Board, IASB. In termini schematici, esso è uguale a margine d’interesse + commissioni nette + dividendi e proventi simili + risultato netto della gestione di negoziazione + risultato netto dell’attività di copertura +/- utili o perdite da cessioni o riacquisto di crediti, attività finanziarie disponibili per la vendita, attività finanziarie detenute sino alla scadenza e passività finanziarie, +/- risultato netto delle attività e passività finanziarie valutate al fair value.
In parole povere, il margine di intermediazione indica il valore che una banca è riuscita ad ottenere dalla sua attività principale, quella legata alla mediazione tra domanda e offerta di credito. Vediamo in che senso. Una banca svolge quale compito fondamentale l’attività di raccolta del risparmio tra la clientela da un lato e di erogazione di prestiti dall’altro. Sul denaro raccolto è tenuta a versare un tasso di interesse, che per il suo bilancio rappresenta una posta passiva. Al contrario, sui prestiti erogati a imprese e famiglie applica un interesse, che si configura quale posta attiva e rappresenta la remunerazione ottenuta per il credito concesso.
Una banca solida deve essere capace, quindi, di maturare un margine da questa attività di intermediazione, ovvero dalla differenza tra gli interessi attivi e quelli passivi del periodo considerato. Non è sempre detto che vi riesca, perché se da un lato gli interessi passivi in uscita sono contabilmente certi, non lo stesso si può dire della reale entità di quelli attivi riscossi. Un prestito, una volta ottenuta, non è detto che venga restituito alla banca per intero, o che il debitore vi paghi gli interessi con puntualità o affatto. Pertanto, una delle voci indicate per la derivazione del margine di intermediazione è, come abbiamo visto, quella relativa alle rettifiche sui crediti.
Le rettifiche deprimono il margine, perché rappresentano una posta negativa per il bilancio di una banca, implicando la perdita attesa della quota di un prestito erogato. Per esempio, se un’impresa cliente ha ottenuto un finanziamento di 100.000 euro e ha restituito già 30.000 euro di capitale, ma da diversi mesi è in ritardo nei pagamenti delle scadenze, lamentando una situazione di crisi aziendale, a fine esercizio o anche prima, la banca dovrà iniziare a mettere in conto che parte dei 70.000 euro di capitale ancora da restituire non torni indietro. Lo farà sulla base delle probabilità riscontrate per prestiti omologhi nel recente passato. Per esempio, se ritiene che dei 70.000 euro ancora da riscuotere ne arriverà a incassare appena 50.000, significa che 20.000 euro rappresentano una rettifica sul credito, che inciderà negativamente sul margine di intermediazione.
Può anche accadere che la voce di rettifica sui crediti possa eventualmente trasformarsi in una posta di bilancio positiva. Supponiamo nell’esempio appena esposto, che il cliente, dopo avere attraversato una fase difficile per le proprie finanze aziendali, si riprenda e sia in grado di restituire alla banca l’intero capitale preso in prestito, oltre agli interessi. I 20.000 euro accantonati dalla banca come svalutazione crediti da voce negativa diventano una voce positiva, ovvero un insperato aumento delle somme incassate sui crediti concessi, insomma, una sopravvenienza attiva.
Lo stesso dicasi per i casi di cessione o riacquisto di crediti, passività finanziarie. Sempre tornando all’esempio precedente, supponiamo che la banca abbia non svalutato il credito da 70.000 euro, ma che lo abbia venduto a una società di factoring, la quale lo ha pagato 30.000 euro. Questo significa che la banca sta incassando subito 30.000 euro, ma rinunciando a incassarne nel tempo 70.000, ovvero sta subendo una perdita di 40.000 euro dalla cessione di un credito.
Caso opposto è quello di riacquisto di una passività finanziaria, una banca ha emesso alla pari un’obbligazione dal controvalore nominale di 1.000.000 di euro, sulla quale paga una cedola annuale del 5%. Gli interessi passivi legati al bond sono, quindi, pari a 50.000 euro. Se sul mercato secondario le obbligazioni emesse scendono di prezzo per una qualche ragione, anche non necessariamente legata alla situazione specifica dell’istituto, questi potrebbe approfittarne, sempre che disponga di liquidità sufficiente, per rastrellare i titoli e annullare il debito, praticamente maturando un utile dalla differenza tra il maggiore debito emesso e quello pagato agli obbligazionisti sul mercato secondario con anticipo sulla scadenza. Ipotizzando, per esempio, che tutte le obbligazioni vengano riacquistate a un prezzo medio di 90, la banca spenderebbe 900.000 euro per annullare un debito contratto per 1.000.000 di euro, ovvero realizzando un margine di 100.000 euro, che a sua volta inciderà positivamente sul margine di intermediazione.