Al termine di ogni esercizio vi sono operazioni non ancora concluse e il cui andamento potrebbe influire sul bilancio. Uno di questi casi è dato dalla sussistenza di crediti. Non è detto, infatti, che un prestito commerciale erogato a un cliente da parte di un’impresa o uno finanziario concesso da una banca siano riscossi interamente alla scadenza. Per qualsiasi ragione, infatti, il debitore potrebbe non adempiere alla propria obbligazione, vuoi per difficoltà economiche sopravvenute o impreviste all’atto della richiesta del prestito, vuoi anche per disguidi intervenuti con l’azienda o banca erogante.
Fatto sta che in sede di redazione di bilancio, in base ai principi prudenziali, bisogna tenere conto del rischio che il credito possa non essere in parte o per intero riscosso. Ecco, quindi, che bisogna accantonare al fondo svalutazione crediti, e sulla base di un attento processo di valutazione, la parte dei prestiti che si tema non venga restituita, dato che l’art.2426 del Codice Civile richiede che i crediti vengano iscritti ogni anno a bilancio al loro valore di presumibile realizzo. Ciò porta a tenere conto delle perdite previste per inesigibilità, di eventuali rettifiche di fatturazione, di sconti e abbuoni e altre cause di minore realizzo.
Nulla ci dice il codice sul processo di valutazione che dovrebbe portare un’azienda o una banca a determinare il valore di presumibile realizzo dei crediti. Tuttavia, il principio contabile OIC 15 stabilisce che il loro valore nominale deve essere rettificato tramite un fondo di svalutazione per tenere conto della possibilità che il debitore non adempia integralmente ai propri impegni contrattuali. Il fondo svalutazione crediti rettifica così i crediti registrati nell’attivo dello stato patrimoniale.
Ora, può accadere che l’inesigibilità dei crediti sia nota al momento della redazione del bilancio, per esempio, perché nel frattempo l’impresa debitrice è fallita o presenta gravi segni di insolvenza. In altri casi, comunque, l’inesigibilità non può desumersi, in quanto non se ne sono manifestati i segni.
Il fondo svalutazione crediti deve essere alimentato attraverso un’analisi puntuale di singoli crediti e di ogni altro elemento di fatto esistente o previsto, ovvero avvalendosi della storia passata del debitore, delle informazioni disponibili, della situazione dei debitori e di quella corrente economica e generale e di settore, oltre che dei fatti intervenuti dopo la chiusura dell’esercizio e fino alla redazione del bilancio, che possano incidere su di esso.
In alternativa al metodo analitico è possibile anche l’impiego del metodo forfetario, che può adottarsi, però, solo in alcuni casi. I crediti verso la clientela possono essere distinti in tre gruppi
-Crediti verso debitori per cui sono già emersi situazioni di inesigibilità, come fallimento, concordato, presentazione istanza di fallimento.
-Crediti verso clienti scaduti e non incassati.
-Crediti verso clienti non scaduti.
I primi devono essere trattati secondo il metodo analitico, in quanto per essi si dispongono informazioni che consentono all’impresa o banca di determinarne il valore di realizzo presumibile. I secondi, invece, sono soggetti a una stima determinata in base all’esperienza e a ogni altro elemento. Questi crediti vanno analizzati uno per uno e inseriti in una categoria sulla base del tempo trascorso dalla scadenza inadempiuta. I terzi, infine, vanno svalutati se si hanno nei confronti di imprese per le quali si è a conoscenza di casi di insolvenza. Dunque, saranno soggetti a una svalutazione percentuale anche minima, mentre diverso è il caso di inesigibilità manifestatesi, che richiede un’analisi separata.
Negli ultimi anni, il tema della svalutazione dei crediti è diventato scottante per le banche italiane, che rispetto al 2007, ultimo anno prima della crisi finanziaria, hanno visto quintuplicare il rapporto tra crediti deteriorati o Npl, Non performing loan, e massa totale dei crediti, arrivato a una media di circa il 20%, segnalando l’elevato rischio derivante dall’erogazione di un prestito a un’impresa o una famiglia italiana, a causa della crisi economica nel frattempo esplosa.
I crediti deteriorati rappresentano la categoria più ampia di prestiti a rischio, rientrandovi tutti quelli scaduti da almeno 90 giorni. Di questi, parte sono considerabili incagli, ovvero probabili inadempienze dei debitori, per le quali la banca valuta improbabile la riscossione integrale del prestito senza il ricorso ad azioni legali, tra cui l’escussione. Le sofferenze, invece, sono la parte più a rischio dei crediti deteriorati, rappresentando quei crediti di clienti soggetti già formalmente insolventi o che versino in situazioni equivalenti.
La copertura di questi crediti a rischio è stata in linea con i tassi medi europei, persino superiore in Italia. Tuttavia, a causa del particolare stato di crisi della nostra economia, è risultata inferiore alle perdite presunte, ovvero le svalutazioni effettuate a bilancio sono ancora oggi inferiori ai prestiti non riscossi, che valutazioni di mercato indipendenti danno intorno al 25% contro un tasso di copertura di circa il 55 o 60%. La conseguenza è che le nostre banche nel 2016 sono state letteralmente travolte in borsa, scontandosi le perdite future attese e non ancora segnalate da fondi di svalutazione crediti di adeguata capienza.