La leva finanziaria indica in economia concetti differenti, a seconda che si faccia riferimento al suo uso nel linguaggio aziendale o in quello finanziario.
Iniziamo dal primo. Un’azienda, sia in fase di avvio dell’attività che nel corso della sua intera esistenza, ha bisogno di capitali. Essi servono per essere impiegati nella produzione, al fine di ottenerne un valore superiore all’investimento realizzato, remunerando tutti i fattori produttivi, compreso il capitale. Esso è dato dalla somma tra mezzi propri e crediti. In genere, nessuna grande impresa intende impiegare solamente i primi, visto che la remunerazione del capitale a titolo di rischio tende a risultare superiore a quella richiesta dal capitale esterno, ovvero i finanziamenti di banche o altre società di natura finanziaria. Il primo consiste essenzialmente nello stacco dei dividendi, il secondo negli interessi.
Il rapporto tra il totale del capitale, proprio e di terzi, e il solo capitale proprio individua la leva finanziaria di un’azienda. Più essa risulta elevata, più il rischio di investire nell’azienda tende a crescere. Per questo, chi dovesse prestare denaro a una società relativamente indebitata, perché di questo si tratta, lo farebbe a tassi d’interesse relativamente alti, con la conseguenza che verrebbe gradualmente meno la convenienza della stessa azienda a ricorrere al capitale esterno, scegliendo i mezzi propri nel caso necessitasse di nuove risorse, per cui varerebbe un aumento di capitale, se parliamo di una società per azioni.
Non esiste una misura univoca per determinare il grado di leva finanziaria oltre il quale un’azienda è da considerarsi eccessivamente esposta verso terzi. Molto dipende, per esempio, dal settore in cui si opera. Tipicamente, le utility si mostrano molto indebitate, in quanto devono effettuare ingenti investimenti con una certa frequenza. Ovviamente se la leva assume valori inferiori a 1, significa che l’azienda non ha fatto ricorso a debiti, se essa assume valori compresi tra 1 e 2, i mezzi propri superano in valore i debiti, se essa assume valori superiori a 2, il capitale di terzi supera in valore i mezzi propri.
Passiamo adesso ad analizzare il concetto di leva nel linguaggio finanziario. Essa individua la capacità di un investitore di impiegare una quantità relativamente contenuta di capitali, a fronte di esposizioni reali maggiori. Questo tipo di operazioni hanno luogo nei casi di strumenti finanziari come azioni, obbligazioni, commodity, valute e opzioni.
Vediamo più in dettaglio di cosa si tratta. I mercati finanziari sono diventati luoghi sempre più complessi e sofisticati di transito di flussi ingenti di denaro, i cui possessori hanno l’obiettivo di ottenere il massimo profitto nel minimo tempo possibile, investendoli in titoli, indici, materie prime, altri prodotti strutturati e cosiddetti derivati. In un certo senso, chi investe in borsa o, più in generale, sui mercati compie una scommessa, se vince, guadagna, altrimenti, perde.
Tuttavia, chi ha relativamente pochi fondi da puntare non avrebbe mai la possibilità di partecipare ai lauti guadagni potenziali di un investimento finanziario, con la conseguenza che magari non proverebbe nemmeno e che la liquidità disponibile si ridurrebbe. Per questo, viene in soccorso proprio la leva, che consiste nella possibilità per un investitore di puntare effettivamente solo una quota del capitale da investire, nonostante i guadagni e le perdite siano rapportati al totale. L’intermediario che si occupa di mettere in pratica l’investimento coprirà per l’ammontare residuo, fatto salvo che richiederà di integrare il capitale nel caso in cui l’andamento dei prezzi del sottostante andrà nella direzione contraria a quella desiderata.
Facciamo un esempio. Tizio investe 500.000 euro nelle azioni Alfa, confidando in una loro salita di prezzo. Lo fa attraverso una società di intermediazione, che gli chiede di versare su un apposito conto solamente un ventesimo della cifra, ovvero 25.000 euro. Per i restanti 475.000 euro, ci penserà proprio l’intermediario, per cui l’effetto leva è di 1:20. Immaginiamo che le azioni salgano e che la posizione venga chiusa a un prezzo del +5%. Tizio avrà incassato un rendimento di 25.000 euro, 5% su 500.000. Tuttavia, se i prezzi si muovessero nella direzione opposta, 25.000 euro sarebbero le perdite, azzerando l’intero capitale effettivamente anticipato. A quel punto, la società d’intermediazione chiederà di reintegrare il margine richiesto. L’investitore potrebbe anche scegliere di impostare l’operazione in modo che le perdite massime conseguibili non superino una certa percentuale di stop loss, coincidente, per esempio, con il margine inizialmente depositato. Nel caso di cui sopra, quando le perdite diventeranno pari a tutti i 25.000 euro versati, l’esposizione sarà chiusa automaticamente.
La leva finanziaria o leverage, come si è soliti indicarla nella terminologia inglese, prevede esposizioni anche per centinaia di volte superiori ai margini depositati. Più essa è alta, più elevato anche il rischio di subire perdite ben superiori a quelle percepite. La tecnica dello stop loss, se da un lato limita proprio le perdite potenziali massime, dall’altro comporta il rischio, specie per investimenti con leva elevata, di chiudere l’esposizione al minimo andamento negativo, privando l’investitore dei guadagni ottenibili da una ripresa dei prezzi nella direzione contraria.