I fattori produttivi sono quegli elementi che consentono a un’impresa di mettere a disposizione del mercato beni e servizi. Il riferimento, per la teoria economica classica, è a lavoro, capitale e terra. In realtà, in senso più stretto si suole generalmente fare riferimento solo a lavoro e capitale. In un certo senso, infatti, la terra potrebbe essere intesa essa stessa come capitale dell’impresa, al pari di un capannone o di un macchinario. In ogni caso, quando si parla di terra come fattore produttivo, ci si riferisce sia alla superficie coltivabile, che alle materie prime del suo sottosuolo come petrolio e acqua e alle condizioni ambientali che rendono possibile la produzione.
La terra produce elementi che non sono riproducibili e che si trovano in quantità fissa. Il proprietario terriero è tipicamente detentore di un reddito, che viene anche denominato rendita. Gli studi ottocenteschi di David Ricardo si concentrarono proprio su quella che sembrò essere all’economista una tendenza crescente della rendita ad assorbire risorse a discapito delle altre, come salari, profitti e interessi. In particolare, egli trovò che la rendita tendeva ad essere crescente all’avvicinarsi di un dato terreno rispetto ai mercati di sbocco.
Concentriamoci, tuttavia, sui due principali fattori produttivi, combinando i quali si ottiene la produzione dei beni e l’erogazione dei servizi da parte di un’impresa. Il lavoro può distinguersi in manuale o intellettuale, ma in ogni caso contribuisce alla produzione, come nel caso di un addetto alla catena di montaggio o di un impiegato dell’ufficio marketing. Entrambi, in maniera del tutto diversa, offrono il loro contributo alla produzione aziendale, l’unico direttamente sfornando pezzi, l’altro cercando il modo di piazzarli sul mercato.
Il capitale può a sua volta distinguersi in fisso e circolante. Quello fisso è dato da tutti quei beni che contribuiscono a più cicli della produzione e hanno una durata pluriennale. Parliamo di capannoni, macchinari, impianti, portatili, mobili, terreni. Il capitale circolante, invece, esaurisce il suo contributo in un unico atto della produzione. Per esempio, la gomma per le suola delle scarpe è evidente che serva solo a produrre quel paio di scarpe e, pertanto, una volta utilizzata avrà esaurito il suo apporto e ne servirà altra per produrre un ulteriore paio.
Ora, per fare in modo che un’azienda possa avviare la produzione di un bene o l’erogazione di un servizio, risulta indispensabile che si doti di un minimo di capitale fisso, circolante e del fattore lavoro, fosse anche solo quello dello stesso imprenditore. Il capitale fisso, che abbiamo detto contribuire a più cicli di produzione negli anni, comporta un dispendio di risorse iniziali generalmente ingente e non è detto che l’impresa disponga dall’inizio di tutta la liquidità necessaria. Al contrario, il capitale circolante può essere acquistato mentre la produzione procede e, quindi, tende a comportare costi ravvicinati temporalmente ai ricavi. Nel primo caso, avrò verosimilmente spesso bisogno di prendere in prestito una somma di denaro, chiaramente al costo di un certo tasso di interesse.
Anche il lavoro rappresenta un costo per l’imprenditore, rappresentato dal salario, ovvero dalla remunerazione in favore del lavoratore, ma non comporta un dispendio iniziale al pari del capitale fisso, essendo il suo apporto rilasciato gradualmente nel corso dell’attività produttiva, al pari del capitale circolante.
Dicevamo, l’impresa produce beni e servizi combinando capitale e lavoro. Questo significa essenzialmente che dovrà tenere in considerazione il rapporto tra i costi dell’uno e dell’altro fattore produttivo per ottenere una produzione ottimale. Dunque, si troverà da un lato a controllare il tasso d’interesse e dall’altro il livello dei salari. Per questo, possiamo anche affermare che l’impresa tende ad assumere più lavoratori, quando il salario medio si abbassa o il tasso di interesse si innalza. Al contrario, tende a investire maggiormente in capitale fisso, quando il tasso d’interesse si abbassa o il salario si alza.
Per questo, anche le politiche pubbliche incidono sulle modalità di produzione delle imprese, spesso creando distorsioni che alla lunga causano più costi che benefici. Per esempio, tenere bassi gli interessi per incentivare gli investimenti, se da un lato dovrebbe sostenere proprio la produzione e il lavoro, dall’altro potrebbe finire per rendere eccessivamente conveniente il capitale rispetto al fattore lavoro, con la conseguenza di finire per disincentivare le assunzioni. Per contro, incentivare le assunzioni con misure varie, come sgravi fiscali e contributivi, potrebbe finire per stimolare una produzione basata su un utilizzo intensivo del lavoro, ma che si rivelerebbe nel lungo periodo inefficiente, visto che in condizioni ordinarie l’impresa avrebbe magari scelto di investire maggiormente in tecnologie, con recuperi di produttività e, quindi, di crescita dei salari e dei posti di lavoro. Da quanto detto, si intuisce come influenzi la produzione in un senso o nell’altro anche un altro fattore, produttivo in senso lato, ossia quello istituzionale. Imprese che operano in una cornice giuridica confusa o inefficiente tendono a produrre in maniera inefficiente, ovvero a combinare male i fattori lavoro e capitale.