Gli indici o indicatori di solidità patrimoniale per un’azienda o una banca segnalano la sua solvibilità. Ve ne sono diversi e per gli istituti di credito vengono studiati e utilizzati in maniera specifica, tenendo conto della peculiarità dell’attività svolta. In questa guida, ve ne forniremo alcuni e senza pretesa di esaustività di un tema abbastanza complesso.
Iniziamo con l’autocopertura delle immobilizzazioni, siano esse tecniche, finanziarie o immateriali. L’indice consiste nell’inserire al numeratore le fonti interne di finanziamento e al denominatore il valore delle attività immobilizzate di varia natura. Non esiste un numero specifico, al di sotto o al di sopra del quale si ha un’idea precisa sul grado di sostenibilità finanziaria. Tuttavia, si è soliti affermare che quando i mezzi propri non coprono nemmeno un terzo del valore delle immobilizzazioni, la società versa in condizioni finanziarie critiche. Se, invece, il rapporto si attesta tra un terzo e due terzi, si ha una solidità patrimoniale sufficiente e al di sopra dei due terzi, la solidità risulta essere più che robusta. Esistono comparti aziendali, però, che mostrano generalmente indici di solidità patrimoniali relativamente bassi, richiedendo frequenti e onerosi investimenti, come nel caso delle telecomunicazioni.
Proprio per verificare con quali coperture siano stati effettuati gli investimenti, ovvero come si siano finanziate le immobilizzazioni, si può anche esaminare il rapporto tra le diverse fonti, che essenzialmente sono i mezzi propri e il ricorso all’indebitamento. Ponendo al numeratore i primi, capitale, e al denominatore il secondo, si ottiene un rapporto superiore all’unità quando le coperture interne superano quelle esterne e inferiore all’unità nel caso contrario. Il rapporto è esattamente pari a 1 quando si equivalgono.
Da questi indicatori si ottiene il grado di indebitamento, che è pari al livello dei debiti in relazione al totale dei mezzi disponibili. Come anticipato sopra, dovrebbe risultare un rapporto inferiore a un terzo per avere un’azienda patrimonialmente solida. Con rapporto superiore, fino ai due terzi, si ha una condizione più o meno critica. Al di sopra dei due terzi si hanno esiti preoccupanti.
Il debt equity è un altro indice molto utilizzato per cercare di comprendere la condizione finanziaria in cui versa un’azienda. Esso è dato dal rapporto tra indebitamento finanziario netto e patrimonio netto. Chiaramente, valori superiori a 1 ci segnalano situazioni potenzialmente critiche, ma bisogna tenere in considerazione il settore di appartenenza, perché come sopra spiegato, esistono attività che implicano un grado di indebitamento superiore a quello che generalmente si riscontra in altri settori. In teoria, tale rapporto può anche assumere valori negativi, situazione che si ha nel caso in cui il valore dei crediti superi quello dei debiti, per cui l’azienda detiene un indebitamento finanziario netto negativo, ovvero risulta creditrice. Non è detto che si tratti di una condizione ottimale, perché significa che probabilmente il management si sia concentrato eccessivamente nell’evitare di accendere debiti, ricorrendo a mezzi propri, ma finendo per bloccarne una quantità eccessiva, quando sarebbe stato possibile ricorrere a fonti esterne. Ricordiamoci, infatti, che le aziende sono unità solitamente in deficit, nel senso che hanno bisogno costantemente di liquidità, la quale impiegata consente la generazione di utili.
Quanto alle banche, uno degli indici patrimoniali più utilizzati è il CET1 ratio, sigla che significa Common Equity Tier 1 ratio. Esso è dato dal rapporto tra il capitale ordinario versato e le attività ponderate per il rischio. Per fare che una banca in Italia e nel resto dell’Unione Europea possa considerarsi solida, deve mostrare per la BCE un CET1 ratio non inferiore all’8%. In altre parole, una banca dovrebbe ordinariamente detenere capitale effettivamente versato per non meno dell’8% delle attività ponderate per i rischi. Queste vengono, cioè, pesate per la probabilità di insolvenza segnalato dal debitore cliente, per convenzione regolamentare pari a zero solo nel caso dei titoli di Stato. In sostanza, questo equivale ad affermare che i prestiti bancari non dovrebbero mai superare di 12,5 volte il capitale proprio, tenuto conto dei rischi.
Il Tier1 comprende, invece, il CET1 e le azioni di risparmio, mentre il Tcr, Total capital ratio, indica il patrimonio totale rapportato alle attività ponderate per il rischio. Rispetto al CET1, questi due indicatori sono più ampi, nel senso che segnalano condizioni meno restrittive. Di fatto, oggi una banca operante nell’Unione Europea si considera effettivamente solida con un CET1 ratio non inferiore all’11 o 12%. Le banche più solide arrivano anche al 20%.
Restando sempre tra le banche, il ROE, Return on Equity, non può dirsi un indice di solidità patrimoniale, per quanto sia piuttosto monitorato dai mercati per carpire la capacità di un istituto di maturare utili erogando credito. Esso è, infatti, il rapporto tra i profitti maturati in un dato esercizio e il totale dei mezzi propri, dunque, esprime la percentuale di rendimento del capitale impiegato.