Il debt equity ratio o rapporto tra debito e capitale individua in un’impresa la relazione tra il totale delle passività sociali e i mezzi propri, anche noti come capitale dei soci. Da un punto di vista matematico, la formula è pari a debiti/capitale.
Il risultato può essere espresso con un numero o con una percentuale. Per risultati superiori a 1 o 100%, si ha che l’ammontare complessivo dei debiti dell’impresa supera in valore il totale dei mezzi propri o capitale. Per risultati compreso tra 0 e 1 o 0 e 100%, troviamo che il valore dei debiti è inferiore a quello del capitale. Infine, se una società è priva di debiti, chiaramente avrà un debt/equity ratio nullo.
Si tratta di uno dei principali indicatori finanziari utilizzati dalle banche, per esempio, per giudicare il livello di sostenibilità di un’impresa cliente. Risulta essere evidente che più il rapporto sopra indicato risulta elevato, minori sono i margini per prestare ulteriore denaro all’impresa richiedente, in quanto l’indebitamento è già alto, ovvero la strategia finanziaria perseguita è stata aggressiva.
Vediamo che senso ha mettere in relazione il valore dei debiti con quello delle azioni in mano ai soci. Il denaro preso in prestito da terzi deve essere remunerato e questo implica per l’impresa debitrice il sostenimento di un costo in forma di interessi. Allo stesso tempo, le azioni acquistate dai soci e di cui si costituisce il capitale azionario dell’impresa a una certa data devono essere remunerate, stavolta in forma di stacco dei dividendi, ovvero di almeno parte degli utili maturati nell’esercizio. Quando un’impresa registra un aumento del debt equity ratio, il livello di indebitamento sale, per cui anche le risorse da accantonare per gli interessi aumentano in valore assoluto, oltre che generalmente in funzione percentuale del grado di indebitamento, rispecchiando un rischio credito più elevato. La conseguenza è che il reddito d’esercizio tende ad abbassarsi, visto che i maggiori interessi da sborsare abbattono il risultato generato dalla gestione caratteristica. Minori utili si traducono nel tempo, se non da subito, in minori dividendi distribuiti ai soci, per cui a fronte di una maggiore remunerazione da mettere in conto in favore dei creditori, a doversi accontentare di minori risorse saranno i soci. In altre parole, il debito spiazza il capitale sul fronte della ripartizione delle risorse. Un’azienda molto indebitata paga molti interessi e paga pochi dividendi. Ecco la ragione per la quale il valore delle azioni tende ad abbassarsi nel tempo con l’aumentare del grado di indebitamento dell’impresa quotata in borsa.
Chiaramente, bisogna fare un’analisi più complessa per capire il reale stato di un’impresa e per carpirne le potenzialità future. I debiti vengono contratti spesso per sostenere piani di investimento, ovvero per stimolare la crescita dell’impresa, la sua capacità di produrre utili futuri. Un aumento del debt equity ratio deprime il risultato sociale attuale, ma in potenza dovrebbe accrescere gli utili, quindi i dividendi, degli esercizi prossimi. Stando così le cose, non avrebbe senso penalizzare le azioni in questione, anzi il loro valore attuale netto dovrebbe essere più alto con gli investimenti effettuati, per cui anche le quotazioni azionarie dovrebbero salire. In realtà, non è sempre facile capire se e in quale misura un investimento possa produrre un accrescimento degli utili futuri. Le incognite restano elevate e se dovesse con il tempo palesarsi un beneficio inferiore al costo sostenuto, l’impatto sul valore delle azioni non potrà che essere negativo, gli utili attesi diminuirebbero e con essi i dividendi e il valore degli accantonamenti a riserva, ovvero del patrimonio sociale.
Altra annotazione riguarda il computo dei debiti. Da un’azienda all’altra possono essere diversi i criteri adottati per valutarne l’ammontare. Alcune non tengono conto delle passività a breve termine, ossia quelle con scadenza fino all’anno. Questo, perché i debiti giunti quasi alla scadenza non influiranno più sui risultati a medio lungo termine dell’impresa. L’esclusione di tali passività rischia di distorcere il debt equity ratio, perché la sostenibilità di un’azienda dipende dall’insieme dei debiti in rapporto ai mezzi propri, indipendentemente dalle scadenze. Inoltre può anche darsi che molti debiti siano concentrati nel breve termine, un fatto che crea tensioni nella gestione della liquidità, se non adeguatamente affrontato per tempo con il reperimento di risorse congrue.
Infine, non esiste un livello di indebitamento uguale per tutte le imprese e oltre il quale scatta l’allarme sulla condizione finanziaria. Alcune società tendono ad essere più indebitate di altre per la necessità di effettuare investimenti ingenti. Si pensi alle utility, che mostrano debiti a bilancio nettamente superiori a società di altri comparti. Si consideri, per quanto detto sopra, che un debt equity ratio molto basso potrebbe prestarsi a un’interpretazione negativa, rispecchiando un’azienda con scarsa propensione ad investire e che probabilmente rischia in futuro di risentire negativamente di tale politica di investimenti. Un caso è il comparto petrolifero. Le compagnie devono impiegare parecchi capitali per sfruttare efficientemente i pozzi, altrimenti i livelli estrattivi si ridurranno e con essi i ricavi e i profitti.