Al termine di ogni esercizio, un’azienda si ritroverà tipicamente con rimanenze di magazzino. Si tratta di merce acquistata nell’anno o anche in precedenza, ma rimasta invenduta. Pertanto, le rimanenze rappresentano costi sostenuti dall’azienda, ma i cui ricavi non si sono realizzati e, quindi, devono essere rinviati all’anno successivo per un fatto di competenza. Questo implica che le rimanenze finali di magazzino si trasformano automaticamente in rimanenze iniziali dell’esercizio successivo e queste devono essere computate quali costi. Ai fini fiscali, le rimanenze iniziali devono essere raggruppate per natura, ovvero per tipologia merceologica omogenea, ovvero per valore, ovvero beni il cui valore oscilla in una banda del 20% rispetto al minimo. Esempio, possiamo raggrupparle in beni dal valore compreso tra 100 e 120 euro, ma non tra 30 e 50 euro, perché in questo secondo caso l’oscillazione sarebbe pari al 66,6%.
Vediamo cosa sono nella pratica le rimanenze di magazzino. Esse si distinguono in
-Materie prime, beni destinati alla produzione di altri beni.
-Materie sussidiarie, beni di completamento per la produzione di altri beni.
-Materiali di consumo, utilizzati nel corso della produzione.
-Merci destinate alla rivendita e senza ulteriori destinazioni.
-Podotti in corso di lavorazione.
-Semilavorati, prodotti che devono ancora concludere il ciclo produttivo, ma hanno una propria identità fisica e contabile.
-Prodotti finiti e pronti per la commercializzazione.
-Lavori in corso su ordinazione, i pensi ai lavori commissionati e non ancora conclusi. Essi fanno parte tipicamente del portafoglio ordini delle società di costruzione.
Passiamo adesso a un tema abbastanza delicato, cioè il valore che deve essere assegnato alle rimanenze. Secondo l’art.2426 del Codice Civile, esse devono essere iscritte a bilancio secondo il loro costo storico, al netto di resi, abbuoni, sconti incondizionati e maggiorati degli di diretta imputazione, quali le spese di trasporto, imballo, installazione, collaudo, assicurazione, noli, dazi doganali, al netto degli oneri finanziari.
Se minore, il valore da iscrivere a bilancio deve essere quello di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato per le merci, i prodotti finiti, i semilavorati e i prodotti in corso di lavorazione, pari al valore netto di realizzo, prezzo di vendita – costi di completamento e spese dirette. Per le materie prime e le merci sussidiarie, sarà pari al costo di sostituzione, prezzo di acquisto di tali beni in un momento dato e in circostanze di gestione ordinaria.
Visto che i valori inseriti a bilancio devono essere improntati al principio di veritiera e corretta rappresentazione, è fatto divieto di mantenere tale minore valore per i casi in cui si ha la ragionevole presunzione che i motivi alla base della minore valutazione siano venuti meno. Tuttavia, per ragioni di prudenza ciò deve avvenire quando si ha la ragionevole certezza che tale rivalutazione possa realizzarsi tramite la vendita e in tempi brevi.
Vediamo come calcolare, invece, il costo delle rimanenze iniziali di magazzino. In teoria, si dovrebbe fare riferimento ai costi specifici, ma ciò è possibile solamente per un’azienda con rimanenze limitate e che constano di beni infungibili. Nella pratica si è costretti a fare ricorso a criteri convenzionali, ma la cui adozione non si rivela neutrale ai fini di bilancio. Questo accade, perché nella gestione ordinaria di un’azienda, dal magazzino passano ogni anno diversi beni, alcuni dei quali acquistati poco prima di essere venduti e altri con giacenza più lunga e persino pluriennale in alcuni casi.
Ecco, quindi, che vengono adottate tre principali metodologie di computo dei costi, LIFO, FIFO e costo medio ponderato. LIFO è un acronimo per Last In First Out, ovvero si presuppone che ad essere stato venduto sia stato l’ultimo bene arrivato in magazzino. Adottando questo sistema, in un ambiente di prezzi crescenti nel tempo, si suole deprimere il costo complessivo delle rimanenze di magazzino, perché queste sarebbero calcolati ai prezzi dei primi beni acquistati, ovvero verosimilmente più bassi.
Con il metodo FIFO, First In First Out, si presuppone, invece, che ad uscire per prima dal magazzino siano le merci acquistate inizialmente, per cui in un ambiente di prezzi crescenti, equivale ad alzare i costi delle rimanenze iniziali, in quanto queste sarebbero composte dai beni acquistati per ultimi e il cui costo è stato, quindi, maggiore.
Infine, il costo medio ponderato fa una media dei prezzi sostenuti nell’anno per l’acquisto delle merci di magazzino, ponderati per i volumi di acquisto. In teoria, pare il più neutro ai fini di bilancio. Esiste, poi, la possibilità di adottare il prezzo al dettaglio per i commercianti al minuto e gli operatori della grande distribuzione.
Una volta adottato un criterio, è possibile variarlo solo indicandone le motivazioni nella nota integrativa e allo stesso tempo riportando il valore delle rimanenze iniziali, come risulterebbe dall’applicazione del criterio precedente. Ciò, per evitare che di anno in anno l’azienda cambi le carte in tavola per deprimere o aumentare il valore delle rimanenze, a seconda delle proprie esigenze di bilancio.