Le opzioni call sono contratti derivati che assegnano al titolare la facoltà, ma non l’obbligo, di acquistare alla scadenza pattuita un titolo sottostante a un dato prezzo, strike price, in cambio del pagamento di un premio. Chi acquista simili strumenti, evidentemente, scommette su un rialzo dei prezzi del sottostante, altrimenti non avrebbe senso che fosse disposto a pagare un premio, per entrarne in possesso a una certa data. Chi vende queste opzioni, invece, spera che il prezzo del titolo sottostante diminuisca entro la scadenza, perché oltre al premio, avrebbe così la possibilità di rivenderlo a un prezzo superiore a quello vigente sul mercato.
In realtà, se questa possibilità si realizzasse, non converrebbe al detentore dell’opzione esercitarla, lo farebbe solo nel caso che il prezzo del titolo di cui ha il diritto di acquisto risultasse alla scadenza superiore a quello vigente sul mercato alla data prefissata.
Chi ha facoltà di esercitare l’opzione call mette in conto di incorrere in una perdita massima corrispondente al premio versato. Chi ha venduto l’opzione call, invece, tendenzialmente subisce come perdita la differenza tra il prezzo del titolo sul mercato e quello pattuito alla scadenza.
Sul fronte dei guadagni, il titolare dell’opzione di acquisto può realizzare un profitto, derivante dall’esercizio della medesima a un prezzo inferiore a quello di mercato, potendo rivendere il titolo su quest’ultimo anche all’istante e al maggiore prezzo vigente. Il guadagno di chi vende un’opzione call è rappresentato, come prima cosa, dal premio incassato, ma a ciò si aggiunge la possibilità di rivendere il titolo a un prezzo superiore a quello di mercato. Risulta essere importante ripetere, però, che quest’ultima eventualità non si avvererà, visto che l’opzione non sarebbe esercitata in questo caso.
Facciamo un esempio per capire meglio di cosa parliamo. Immaginiamo che Tizio acquisti da Caio la facoltà di esercitare un’opzione call, relativa a 10.000 azioni di una data società, che a distanza di 90 giorni sarebbero rivendute a un prezzo unitario di 20,00 euro. Supponiamo che per esercitare tale opzione, Tizio debba versare a Caio un premio di 0,50 euro per ciascuna azione.
Vediamo perché Tizio è disposto a pagare 50 centesimi per ogni azione da comprare eventualmente dopo 3 mesi.Perché è evidente che preveda e speri che il prezzo delle suddette azioni salga alla scadenza di un valore almeno pari al premio versato rispetto al prezzo pattuito, cioè che si attesterà a non meno di 20,50 euro.
Supponiamo che alla scadenza concordata, il prezzo delle azioni risulti pari a 19,70 euro, ovvero che sia inferiore a quello pattuito tra le parti. Tizio non riterrà conveniente esercitare l’opzione, perché sul mercato potrebbe acquistare tali azioni a un prezzo più basso. Pertanto, limiterà la perdita al solo versamento del premio, che è stato pari a 5.000 euro, 0,50 euro x 10.000 azioni.
Se, invece, alla scadenza si ha che le azioni valgono sul mercato 20,80 euro, Tizio troverà conveniente esercitare l’opzione, perché può acquistarle per contratto da Caio per 20,00 ciascuna, spendendo complessivamente 200.000 euro. All’istante, potrebbe rivendere il pacchetto sul mercato e incassare complessivamente 208.000 euro. Così, realizzerebbe un margine di 8.000 euro, 208.000 – 200.000, dal quale va sottratto il costo del premio, pari a 5.000 euro, oltre che delle commissioni in favore dell’intermediario. Al netto, quindi, avrà realizzato un profitto, al lordo delle imposte e delle commissioni, di 3.000 euro.
Potrebbe anche accadere una situazione di questo genere, il prezzo delle azioni sul mercato risulta superiore a quello concordato, ma di un valore inferiore al premio versato. Nel caso sopra esposto, per esempio, potremmo supporre che alla scadenza sia pari a 20,30 euro. Tizio troverà ugualmente conveniente esercitare l’opzione, perché spendendo 200.000 euro, porterebbe a casa un pacchetto azionario del valore di 203.000 euro, che rivendendo sul mercato anche subito gli farebbe realizzare un margine di 3.000 euro. Tuttavia, il premio versato, ossia il costo dell’operazione, al netto delle spese per le commissioni, è stato di 5.000 euro. Ciò significa che al netto, l’esercizio del contratto ha comportato una perdita netta di 2.000 euro. Ma se Tizio non esercitasse l’opzione, la perdita sarebbe pari al premio versato, ovvero di 5.000 euro, per cui dovrà acquistare i titoli sottostanti al solo fine di limitare il passivo dell’operazione.
Esistono due modalità per esercitare l’opzione, se solamente alla scadenza pattuita, si parla di opzione call di tipo europea, mentre se si può esercitare anche prima, siamo dinnanzi a un’opzione call di tipo americana.
La stipula di contratti di opzione con facoltà di acquisto è indicativa delle aspettative rialziste del mercato con riferimento al prezzo dei titoli negoziati. Al contrario, la stipula di contratti di opzione put, ovvero che assegnano al possessore la facoltà di vendita alla scadenza, sono sintomatici di una attesa ribassista del mercato. Pertanto, ogni giorno questi strumenti derivati vengono monitorati dagli analisti per cercare di capire le variazioni delle attese degli operatori.