Le spese realizzate dall’impresa per la manutenzione o la riparazione di beni vengono trattate sul piano fiscale in maniera differente, a seconda che i beni siano di proprietà o di terzi. E anche quando risultano essere di proprietà, si suole effettuare un’ulteriore distinzione, ovvero tra le spese di natura incrementativa del valore del bene medesimo e le spese che non abbiano tale impatto, anche considerate ordinarie. Alcune spese straordinarie, infatti, al ricorrere di determinate condizioni, finiscono per incrementare il valore del bene, allungandone la durata o l’utilità nel contribuire alla produzione. Per questo, tali spese vanno registrate in voci del bilancio differenti da quelle in cui andranno a confluire le spese che non incrementano il valore del bene.
Nel caso in cui le spese abbiano natura incrementativa, dovranno essere registrato nell’attivo dello Stato Patrimoniale, aumentando il valore del bene a cui afferiscono. Se sono manutenzione ordinarie, saranno, invece, computate come costo nel Conto Economico.
Il TUIR, Testo Unico delle Imposte sui Redditi, dispone che le spese capitalizzabili si sommino al valore del bene a cui afferiscono e vengano ammortizzare in base al noto procedimento ordinario effettuato. Le spese ordinarie, invece, vengono dedotte totalmente dal reddito d’esercizio, nel limite del 5% imposto dalle norme. Queste prevedono, infatti, che le spese non capitalizzate possano essere integralmente dedotte nell’esercizio in cui vengono sostenute, a patto di non superare il 5% di tutti i beni materiali ammortizzabili registrati nel libro cespiti. Nel caso in cui la soglia venga superata, la percentuale eccedente viene dedotta in quote costanti nei cinque esercizi successivi a quello in cui sono state sostenute le spese.
Le spese possono anche essere effettuate su beni non di proprietà dell’azienda e di cui essa dispone per effetto di un contratto di locazione, leasing o altro tipo. In questo caso, esse non sono sottoposte alla normativa sopra indicata, essendo deducibili dal locatario che le ha sostenute, qualora ciò sia stato stabilito dal contratto di locazione. Se il locatario effettua spese ordinarie relative a un immobile oggetto di locazione, queste potranno essere dedotte integralmente nell’esercizio in cui sono sostenute. Il limite del 5% non viene qui applicato. Il TUIR non prevede norme specifiche per i casi in cui la spesa sostenuta sia a carattere pluriennale, per cui consegue che la deduzione avverrà in più esercizi.
Dunque, le spese risultano deducibili sul piano civilistico per la parte imputabile a ogni esercizio. A tale proposito, il documento OIC 24 recita che i costi sostenuti per migliorie e spese incrementative su beni locati dall’impresa o oggetto di un contratto di leasing sono capitalizzabili e iscrivibili alla voce B.I.7, qualora tali spese non siano separabili dai beni stessi, ovvero senza di cui non possono avere una funzione autonoma. In caso contrario, possono essere registrate alla voce Immobilizzazioni materiali nella categoria di appartenenza. Quanto alla durata dell’ammortamento, esso si effettua nel periodo minore tra quello di utilità futura delle spese sostenute e quello residuo della locazione, tenendo conto anche dell’eventuale periodo di rinnovo del contratto. Pertanto, se l’azienda ha tenuto conto sul piano civilistico del rinnovo del contratto di locazione commerciale, anche sul piano fiscale la deducibilità è ammessa nel più lungo periodo considerato.
Il rinnovo contrattuale va considerato solo nell’ipotesi in cui questo dipenda dal conduttore e sempre che la maggiore durata non risulti superiore al periodo di utilizzo previsto delle migliorie. Qualora il contratto non fosse, poi, effettivamente rinnovato, la parte di costo non ammortizzata costituirà una sopravvenienza passiva.
Gli oneri capitalizzati come migliorie su beni di terzi e iscritti nell’attivo dello Stato Patrimoniale come immobilizzazioni immateriali alla voce B.I.7 devono essere presi in considerazione nell’applicazione del 15% ai fini del test di operatività. Lo spiega la Risoluzione n.180/E dell’Agenzia delle Entrate con riguardo alla disciplina delle società non operative, considerate tali, quando l’ammontare complessivo di ricavi, incrementi di rimanenze e proventi ordinari imputati al Conto Economico risulti inferiore a quello dei ricavi presunti, determinati applicando specifici coefficienti ad alcune poste di bilancio, ragruppabili in titoli e assimilati, immobili e altre immobilizzazioni.
L’Agenzia ha anche ricordato che per le spese relative a più esercizi la percentuale va applicata sull’ammontare risultante dal bilancio, ovvero il valore contabile al netto degli importi dedotti negli esercizi precedenti.
La Corte di Cassazione, invece, con l’ordinanza 17421 del 30 agosto 2016 ha stabilito che le spese di ristrutturazione sostenute per l’immobile in comodato sono deducibili dal reddito e detraibili ai fini IVA, in quanto devono considerarsi in capo al comodatario e non al proprietario del bene, con la conseguenza che il primo potrà dedurre tali spese dal reddito d’esercizio e detrarre l’IVA sostenuta sugli acquisti. Secondo i giudici, infatti, il solo fatto che l’immobile oggetto della ristrutturazione nel caso esaminato fosse utilizzato nell’ambito dell’esercizio d’impresa del comodatario avrebbe fatto in modo che i costi sostenuti allo scopo fossero deducibili dal reddito d’impresa. Ai fini IVA, ha osservato la Cassazione, non rilevano la disciplina civilistica e gli accordi tra comodatario e proprietario.