L’art.2426 del Codice Civile recita che il costo delle immobilizzazioni, materiali e immateriali, la cui utilizzazione è limitata nel tempo deve essere sistematicamente ammortizzato in ogni esercizio in relazione con la loro residua possibilità di utilizzazione. In pratica, l’ammortamento è un processo contabile attraverso il quale un’azienda spalma su più esercizi il costo sostenuto per acquisire un bene materiale o immateriale, che produce un’utilità pluriennale, in ossequio al principio di competenza economica. La presenza dell’avverbio sistematicamente impone all’azienda di predisporre un piano di ammortamento per ogni cespite posseduto. Quanto, invece, alla residua possibilità di utilizzazione, deve intendersi il valore del cespite dopo averlo utilizzato nel tempo dato. Dunque, il suo valore residuo sarà pari al costo inizialmente sostenuto meno il valore del fondo di ammortamento.
Supponiamo che un’azienda sostenga un costo pari a 100 per acquisire un cespite, la cui utilità attesa è di 10 anni, ovvero che contribuirà alla produzione per 10 esercizi. Questo significa che nell’anno è stato sostenuto per intero un costo che sarà di competenza solo per una frazione, mentre dovrà incidere di anno in anno sulla base del suo apporto. Al termine del primo anno, quindi, abbiamo una quota di ammortamento di 10, un fondo di ammortamento pari a 10 e un valore residuo del cespite di 90. Questo è, infatti, pari al costo iniziale meno il fondo di ammortamento. Al termine del quarto anno, si avrà una quota di ammortamento sempre di 10, un fondo di ammortamento pari a 40 e un valore residuo di 60. Il fondo di ammortamento risulta dalla somma tra la quota di ammortamento di competenza e delle altre quote già ammortizzate.
Per redigere un piano di ammortamento bisogna individuare il valore da ammortizzare e il criterio di ammortamento. Il primo si ottiene sottraendo il valore presunto di realizzo dal costo di acquisto. In genere, il valore di presunto realizzo è nullo, ovvero l’azienda acquisisce il cespite perché apporti utilità all’attività produttiva, salvo dismetterli al termine dell’utilizzo. Dunque, il valore da ammortizzare tende a coincidere con il costo di acquisto.
I criteri di ammortamento, invece, possono essere essenzialmente due, economici e matematici. Nel primo caso, il valore residuo del bene da ammortizzare viene stimato sulla base di un ragionamento economico, ovvero calcolando quanto effettivamente il cespite possa contribuire alla produzione futura. Tuttavia, si tratta di una procedura abbastanza complessa e, pertanto, viene poco adottata, preferendosi un criterio di tipo matematico, per cui la quota di ammortamento si ottiene moltiplicando il costo di acquisizione per una data aliquota, che a sua volta varierà in base alla tipologia del bene. Per esempio, se si tratta di un fabbricato, essa varierà tra il 2% e il 5%, in quanto mediamente l’immobile si stima che possa contribuire alla produzione per oltre un trentennio. Al contrario, i terreni non vengono ammortizzati, visto che non perdono valore e rimangono sempre potenzialmente fruttiferi. Per i costi di impianto, l’aliquota sale al 20%, mentre per un impianto, un macchinario, automezzi, essa sarà compresa tra il 12% e il 20%, per cui si stima che questi beni producano utilità per la media di 6 o 7 anni.
Vediamo che fine fanno tali scritture sul piano contabile. La quota di ammortamento compare come costo nel Conto Economico, in quanto deprime il risultato finale. Il fondo di ammortamento, invece, essendo una misura pluriennale che include l’intero costo già sostenuto in relazione a un cespite, sarà parte del passivo dello Stato Patrimoniale, in quanto deprime la massa patrimoniale attiva.
Per quanto appena detto, siamo in presenza di una situazione apparentemente curiosa, la quota di ammortamento segnala il sostenimento di un costo in un dato esercizio, ma sul piano finanziario non abbiamo sborsato nessuna somma di denaro, se non nell’anno in cui è avvenuto l’acquisto. Siamo, quindi, in presenza di un costo non monetario, che contribuisce all’autofinanziamento aziendale, ovvero all’accantonamento di risorse monetarie, senza fare ricorso a finanziamenti esterni. Tuttavia, guardando all’anno in cui il costo è stato sostenuto, ci troviamo esattamente nella situazione opposta, registriamo un costo pari solamente alla quota di competenza, mentre abbiamo sborsato l’intera cifra. Dunque, l’uscita monetaria risulterà enormemente più elevata del costo imputato a bilancio e che deprimerà il risultato finale.
Infine, l’aliquota dell’ammortamento non la decide l’azienda, ma il T.U.I.R. per ciascuna tipologia del bene da ammortizzare. Se così non fosse, l’imprenditore potrebbe decidere di allungare il piano di ammortamento per sostenere il risultato d’esercizio o, al contrario, di accorciarlo, gravando su ciascun esercizio per una quota più alta, in modo da deprimere il risultato e pagare minori imposte.
Riepilogando, l’ammortamento è un criterio tecnico contabile attraverso il quale il costo di un bene acquistato e con utilità pluriennale viene spalmato su più esercizi. Risulta essere giusto che sia così per un fatto di rispetto della competenza economica, altrimenti considereremmo sostenuto in un unico esercizio il costo di un bene che contribuisce per più anni allìattività.