L’effetto leva o leverage è la possibilità concessa a un investitore di puntare solo una parte della cifra investita, sempre esponendosi per il totale. In altre parole, si tratta di un investimento con esborso monetario ridotto, ma che non per questo riduce il rischio complessivamente a carico dell’investitore.
Immaginiamo di volere investire nel forex, puntando sul cambio euro dollaro. Stiamo scommettendo su un rafforzamento del dollaro contro l’euro e il broker, ossia colui che ci consente di effettuare l’operazione, ci chiede di puntare solo un centesimo della somma totale investita. Per ipotesi, gli depositeremo come margine 1.000 euro.
Il margine funziona da garanzia per l’intermediario, ma supponendo che i prezzi delle attività in cui stiamo investendo stiano andando nella direzione opposta a quella desiderata, qualora le perdite prodotte superassero il margine depositato, il broker ci solleciterà un’integrazione dello stesso, ovvero un nuovo esborso monetario, altrimenti la posizione viene chiusa e ci sarà addebitata l’eventuale differenza negativa non saldata.
Il leverage, quindi, ci consente di effettuare un investimento anche potenzialmente molto grosso, ma puntando una cifra modesta. Risulta essere un tonificante per i mercati finanziari, in quanto permette anche ai piccoli investitori di diversificare il portafoglio, non dovendo concentrare l’intera liquidità su una o più attività. In effetti, la leva rende i mercati finanziari molto più liquidi e funzionali di quanto non sarebbero senza, per cui aldilà delle critiche che vedremo, essa conserva una funzionalità essenziale.
Tuttavia, gli aspetti positivi vanno soppesati con il rovescio della medaglia, uno dei quali consiste nella scarsa comprensione dell’effettiva esposizione del singolo trader. Vuoi per l’effetto psicologico di puntare pochi soldi, vuoi anche per l’ignoranza in materia finanziaria, molti piccoli investitori nemmeno si rendono conto che con l’effetto leva, il loro rischio sarebbe maggiore di quello percepito.
Nell’esempio sopra citato, Tizio punta appena 1.000 euro, ma non sa che sta movimentando un capitale 100 volte più grande, ovvero di 100.000 euro. Ciò significa, che se le perdite, per ipotesi, fossero pari al 10%, egli avrebbe perso 10.000 euro, cioè una cifra di 10 volte maggiore a quella depositata come margine. In tanti, invece, credono che il margine rappresenti la somma massima che può andare persa con l’investimento a leva.
Per contro, va detto che il leverage consente di realizzare anche profitti illimitati, avendo sborsato materialmente una cifra sostenuta.
La leva non è decisa dal singolo investitore, ma dal broker, ovvero dall’intermediario, che nei fatti ci mette la differenza e, pertanto, scommette per conto del cliente. Attenzione ai livelli della leva, perché sul forex, ad esempio, si può arrivare a rapporti di 500:1, ovvero si arriva a scommettere su un capitale pari a 500 volte la cifra depositata come margine.
Alcuni casi di leva finanziaria potrebbero risultare deleteri per i piccoli investitori più digiuni di nozioni sugli investimenti sui mercati dei capitali. Si pensi al combinato tra leverage e titoli derivati. Questi ultimi sono titoli, il cui valore è desunto dai prezzi di un’attività sottostante. Non sempre è immediato capirne le variazioni.
Un caso piuttosto rischioso di leva è quello effettuato per le vendite allo scoperto, ovvero uno strumento ribassista, che serve cioè per puntare sul calo atteso del prezzo di un titolo. Ebbene, a differenza dei casi precedentemente esposti, con la vendita allo scoperto o short selling, le perdite potrebbero essere illimitate. Considerando che la leva ci espone già in sé a un rischio pari a X volte maggiore il margine depositato, possiamo ben comprendere la portata delle perdite accusabili.
Si consideri il caso di un investitore, che voglia puntare sul calo di prezzo delle azioni Alfa. Si fa prestare 1.000 azioni da una banca e le vende a 10 euro ciascuna, incassando 10.000 euro iniziali. Poniamo che la banca, oltre a prestargli i titoli da lui non posseduti, gli consenta anche di puntare anche un margine dello 0,5% dell’intero capitale su cui si scommette.
In pratica, Tizio deposita 50 euro, ma si espone per 200 volte tanto, nella speranza che le quotazioni delle suddette azioni scendano e che potrà, pertanto, riacquistarle a un prezzo inferiore a quello iniziale di vendita, realizzando una plusvalenza. Vediamo cosa accade, invece, se il prezzo delle azioni alla scadenza pattuita per la riconsegna dei titoli sale a 50 euro, invece che scendere.
Tizio dovrà sostanzialmente acquistare i titoli per 50.000 euro in tutto, quando aveva puntato un margine di 1.000 volte meno. Sarà sostanzialmente chiamato a sborsare i restanti 39.950 euro, avendone incassati solo 10.000 euro.
Un piccolo investitore dovrebbe utilizzare la leva finanziaria, quindi, solo per investimenti oculati e quando il rapporto di esposizione al rischio non appare così alto. Dovrebbe farlo, poi, all’interno di una strategia di diversificazione del portafoglio e non già su attività solitarie. Infine, dovrebbe valutare bene il tipo di investimento effettuato, scartando le ipotesi più allettanti, ma anche le meno comprensibili.