Tra le varie forme di finanziamento dell’Azienda, molto in uso attualmente nel circuito bancario risulta essere il prestito partecipativo. Tutte le principali banche italiane, dalle più grosse alle più piccole, hanno tra le proprie offerte di finanziamenti il prestito partecipativo. Esso non è un debito dell’azienda, nel senso che il soggetto finanziato non è la società direttamente, ma la sua compagine societaria, vale a dire i soci della stessa.
Ci sono diversi tipi di prestiti partecipativi, alcuni finalizzati all’aumento di capitale, altri all’investimento del denaro in azienda sotto varie finalità. Tutte le pratiche sono accomunate dal fatto che il contraente è una persona fisica, che riceve del denaro in prestito, finalizzando l’uso del denaro al versamento dello stesso in azienda. Nel caso normale, abbiamo un’azienda che ha la sua possibilità di credito vincolata a determinati parametri di bilancio e di gestione, e usualmente, la situazione non permetterebbe un ulteriore appesantimento del debito. In pratica, l’azienda non sarebbe finanziabile. Spunta invece la possibilità di finanziare l’Imprenditore come persona fisica, con l’accordo, certe volte esplicitato in contratto, altre volte solo verbale, di investire la somma finanziata in azienda. In questo modo l’imprenditore (o gli imprenditori) contraggono un debito personale per finalità aziendale e si registra l’introito in azienda, non andando ad intaccare sostanzialmente i parametri di indebitamento già compromessi, anzi, spesso e volentieri, migliorandoli.
Un aumento di capitale sociale, per esempio, conferisce direttamente una nuova liquidità in azienda e questo rinforza l’azienda, ma indirettamente, dato che il capitale dell’impresa è un fattore dei vari indici di indebitamento, aumentando il capitale, a parità di indebitamento, l’indice migliora e l’azienda è più stabile e patrimonialmente solida. La concessione del finanziamento avviene contestualmente al rilascio di garanzie personali (fideiussioni) o di garanzie reali (ipoteche su beni immobili o pegno su beni mobili-titoli). Inoltre molte Camere di Commercio, la quasi totalità, ha attivato un meccanismo di agevolazione in conto interessi per le operazioni miranti al finanziamento dell’azienda tramite capitale sociale, per cui si può avere agevolmente uno scarto di 1,5-2,5 punti percentuali sul costo del denaro del finanziamento stesso.
A dirla tutta, nella realtà, la ragione per cui lo strumento del prestito partecipativo è così “spinto” dal settore bancario è un po’ meno nobile e più prosaica. Nel caso, infatti di un’azienda che ha un rating non ottimale ci sono delle difficoltà logiche a finanziarla, nel senso che aumenterebbe il costo del denaro imprestato legato al maggiore rischio dell’operazione stessa. Il costo del denaro di un’operazione di finanziamento e la realizzabilità dell’operazione stessa, dipende essenzialmente dal rischio che decide di correre le banca, rispetto alla possibilità che il denaro le venga o meno restituito. Finanziare un’azienda in ottimo stato, minimizza il rischio di una mancata restituzione, tanto quanto finanziare un’azienda in precarie condizioni finanziarie lo massimizza. Il costo del denaro, il tasso di interesse che paga il finanziato, è direttamente legato al rischio. Torna quindi il concetto già trovato in finanza aziendale che l’investitore (in questo caso la banca) accetta di effettuare una operazione valutandone la convenienza economica, assieme al rischio della stessa; a quel punto il ritorno economico dell’operazione deve aumentare con l’aumentare del rischio stesso, fino ad un certo limite, oltre il quale l’operazione non verrà fatta. Esiste quindi la possibilità, sempre meno remota, che l’azienda da finanziare vada in default, diventi cioè insolvente e non possa restituire il suo debito; a quel punto il capitale di rischio è perso, nel senso che non è più recuperabile e segue il destino dell’azienda, il capitale di terzi, invece, segue le regole legali del privilegio, vale a dire viene restituito in base ad una sequenza di creditori stabilita dalla legge, i privilegi.
Il finanziamento bancario normale, valutandolo con quella sequenza ha lo stesso valore del credito di un fornitore, cioè secondario rispetto allo Stato, all’Erario, ai Dipendenti e così via. Questo significa che, nella chiusura forzata dell’azienda, le risorse prima vanno a soddisfare i creditori privilegiati e, ciò che rimane e se rimane, viene ripartito tra tutti gli altri creditori, banche comprese. Per queste ragioni, finanziare un’azienda in difficoltà per la banca ha un rischio che proviene da due direzioni diverse, dall’azienda stessa, che può non riuscire a restituire il debito, e dalla classe di privilegio in cui viene iscritto il suo credito, che potrebbe non avere più fondi nel caso ci fosse un default.
L’operazione di prestito partecipativo risolve il problema all’inizio, nel senso che non è una operazione dell’azienda, ma dell’imprenditore. Lui è il vero debitore, il contraente ed il garante, l’azienda viene pertanto non considerata. Ogni problema di default dell’azienda perciò non va ad intaccare il patrimonio del debitore che rimane autonomamente aggredibile dalla banca. Certo, se l’azienda è in difficoltà, anche l’imprenditore è probabilmente in analoga situazione, ma per la banca c’è una notevole differenza dover recupera del denaro da una società in fallimento, per cui è un terzo a decidere le operazioni di rimborso (il curatore fallimentare), piuttosto che aggredire direttamente il patrimonio di un singolo individuo, escutendo immediatamente le garanzie personali o reali.