L’Offerta pubblica iniziale, in inglese Initial Public Offering, da cui l’acronimo IPO, è lo strumento, attraverso il quale una società decide di quotarsi in un mercato regolamentato, ovvero di sbarcare in borsa.
Vediamo in cosa consiste nello specifico. I soci di un’azienda potrebbero decidere a un certo punto di collocare sul mercato almeno una parte del capitale detenuto, vuoi per monetizzare le quote, vuoi anche per altre ragioni, che vedremo più avanti nell’articolo.
Il capitale da collocare sul mercato viene suddiviso in azioni di pari importo e cedute o al pubblico indistinto, clientela retail, o agli investitori istituzionali o a entrambi. Il compito di vendere i titoli agli investitori, quale che sia la natura di questi ultimi, viene affidato a un cosiddetto consorzio di garanzia, costituito da banche, ciascuna delle quali si impegna pro-quota a sottoscrivere le azioni eventualmente rimaste inoptate in fase di collocamento.
Poniamo, in sostanza, che una società decida di collocare sul mercato 10 milioni di azioni e che le banche del consorzio siano riuscite a trovare acquirenti per complessivi 8,5 milioni di titoli. Al termine del periodo dell’offerta, esse potrebbero decidere di riaprire i termini per l’IPO, in modo da consentire attraverso un’ultima chiamata chi volesse di acquistare le azioni rimanenti. Qualora continuasse a registrarsi una quantità di azioni inoptate, il consorzio effettua la sottoscrizione, diventando così temporaneamente soci e al solo fine di consentire la buona riuscita dell’operazione, senza una volontà reale di acquisirne il controllo in un’ottica di medio lungo termine.
Sul piano formale, esistono alcune tappe, che la società quotanda deve compiere prima di arrivare all’IPO. Per prima cosa, essendo una forma di sollecitazione del risparmio, dovrà inviare il prospetto informativo alla Consob, che in Italia vigila le società quotate sui mercati regolamentati, allegandovi il progetto aziendale e le informazioni salienti sul piano economico finanziario.
In assenza di richiesta di nuove informazioni, la società potrà dare corso all’IPO nelle settimane successive, avendo prefissato i termini di apertura e di chiusura dell’operazione. Nei giorni immediatamente precedenti, dopo avere incontrato generalmente gli investitori attraverso il cosiddetto roadshow, la società coadiuvata dalle banche del consorzio di garanzia fissa un prezzo per le azioni da collocare sul mercato all’interno di un intervallo minimo e massimo.
Sulla base della domanda riscontrata, il prezzo di collocamento si sposterà verso l’alto o verso il basso della forbice, ma può anche accadere che possa essere rivisto in rialzo o al ribasso, rispettivamente nei casi di estremo successo e di fallimento dell’offerta.
Il prezzo formatosi in borsa determinerà automaticamente il valore del flottante e quello di capitalizzazione della società. Cerchiamo di capirne di più. Il numero delle azioni collocate, moltiplicato per il rispettivo prezzo, esiterà il valore del flottante, ovvero del capitale nelle mani degli investitori non di controllo e, pertanto, liberamente negoziabile in borsa.
Visto che il flottante è solo una frazione dell’intero capitale sociale, ne consegue che anche il suo valore risulterà una percentuale dell’intero valore della società. Questo si definisce capitalizzazione e rappresenta il 100% delle azioni, incluse quelle non liberamente negoziabili, in quanto possedute dagli azionisti di controllo.
Di solito, ciascuna borsa fissa per regolamento una percentuale minima del capitale sociale ordinario, quello con diritto di voto, da collocare con l’IPO per dare corso alla quotazione. Borsa Italiana, ad esempio, stabilisce percentuale variabili, a seconda del listino in cui la società sarà inserita per la negoziazione.
Questo è dovuto al fatto che un basso capitale effettivamente negoziabile darebbe vita a un sistema inefficiente di formazione dei prezzi delle azioni, a causa dei bassi volumi presenti sul mercato. Basterebbero, in sostanza, pochi ordinativi o poche offerte per smuovere i prezzi nell’una o nell’altra direzione, creando volatilità e potenzialmente anche difficoltà per le parti di acquistare o vendere.
L’IPO determina il valore dell’intera società e questa è una delle ragioni principali dello sbarco in borsa, perché i soci di controllo potrebbero a un certo punto trovare necessario valutare le quote in loro possesso e rendersi conto di quale sia il giudizio del mercato sull’azienda da loro indirettamente gestita.
Difficilmente viene collocata sul mercato una quota di maggioranza, almeno non nell’immediato, tranne che non ci troviamo dinnanzi a un caso di privatizzazione di un asset statale, ovvero di vendita ai privati di una società prima nelle mani dello stato o di una sua controllata.
In fase di IPO, infine, può essere prevista la cosiddetta greenshoe, un meccanismo, attraverso il quale le banche del consorzio di garanzia s’impegnano su ordine della società emittente di collocare sul mercato entro un termine prestabilito un ulteriore numero di azioni, nel caso in cui la domanda risultasse elevata, al fine di stabilizzarne il prezzo ed evitarne un’eccessiva volatilità. Grazie alla maggiore offerta, infatti, gli investitori sarebbero accontentati e il valore dei titoli sarebbe più vicino a quello dell’IPO di conseguenza.