L’offerta pubblica di acquisto, OPA, è disciplinata dal Testo Unico della Finanza del 1998 e modificata dal Decreto competitività nel 2014. Risulta essere intesa quale qualsiasi tipo di sollecitazione alla vendita di strumenti finanziari, rivolta al pubblico. In Italia, si ha un’OPA, quando essa riguarda almeno 150 soggetti e per un valore complessivo di almeno 5 milioni di euro.
L’OPA è un tema molto sensibile per i mercati finanziari, perché la sua disciplina normativa orienta di fatto il modo in cui si evolvono in un dato contesto. In Italia, essa è obbligatoria sulla totalità delle azioni, quando un soggetto, anche in concerto con altri, arriva a detenere almeno il 30% del capitale azionario di una società. Per il calcolo di questa percentuale viene conteggiata anche la quota di capitale rastrellata dal soggetto nei dodici mesi precedenti, se superiore al 5% dello stesso. Raggiunta questa soglia, si sostiene che il nuovo socio controlli nella sostanza la società, ragione per cui le norme gli impongono di lanciare un’offerta anche sulle restanti azioni, al fine di consentire anche ai piccoli azionisti di beneficiare dalla vendita dei titoli in loro possesso a un prezzo certamente superiore a quello vigente sul mercato.
Le recenti modifiche al testo hanno introdotto un margine di maggiore flessibilità, consentendo agli statuti delle società di fissare un livello minimo variabile di capitale dal 25% al 40%, oltre il quale scatta l’obbligo di lanciare l’offerta, a patto che non vi sia un socio che detenga già una quota superiore a quella della percentuale fissata perché scatti l’OPA obbligatoria.
Questa deve essere proposta a un prezzo non inferiore al massimo offerto nei dodici mesi precedenti per rilevare eventuali azioni nella medesima società. In mancanza di precedenti acquisti, viene fissato in un livello non inferiore alla media ponderata degli ultimi dodici mesi.
Grazie all’OPA obbligatoria, i piccoli azionisti hanno la possibilità di decidere se restare nel capitale, anche sotto il nuovo assetto proprietario societario, oltre che di beneficare della cessione dei titoli a un prezzo minimo garantito, di fatto appropriandosi di parte del maggiore valore riconosciuto alla società da chi effettua la scalata, rispetto a quello di capitalizzazione attuale.
L’OPA obbligatoria sulla totalità delle azioni rappresenta, però, anche un costo per chi intende rilevare la quota di controllo di una società, perché questi deve mettere in conto la possibilità che anche tutto il restante azionariato ceda i propri titoli, facendo lievitare il costo complessivo dell’operazione.
A seconda che l’offerta sia gradita o concordata o meno con il management della società oggetto della scalata, si è soliti anche distinguere tra OPA consensuale e OPA ostile. Nel primo caso, il consiglio di amministrazione invita gli azionisti a aderire all’offerta, mentre nel secondo caso a respingerla. Ad ogni modo, tale invito non costituisce fonte di legittimità all’operazione, il cui placet è concesso dalla Consob, che può anche richiedere all’offerente l’invio di ulteriori informazioni, rispetto a quelle già contenute nel prospetto informativo inviatogli.
Può capitare, che a seguito di un’OPA o di una fusione tra due società, un socio o un gruppo di soci operanti di concerto arrivino a detenere almeno il 90% delle azioni. In questo caso, le norme impongono al socio o al gruppo di soci l’obbligo di acquistare il restante flottante libero, in modo da consentire ai soci di uscire dall’azionariato, rischiando altrimenti di subire non solo un controllo totale da parte del nuovo azionista di riferimento, ma anche di avere difficoltà a rivendere i titoli in possesso, a causa dello scarso flottante libero.
L’obbligo di lanciare un’OPA totalitaria sulle azioni ordinarie rimanenti della società si ha anche nei casi di partecipazioni a cascata, quali disciplinate dall’art.45 del Regolamento della Consob. Questa previsione intende lottare contro la pratica dell’elusione della disciplina, che si ha quando si acquistano quote di società controllanti, al fine di controllare di fatto una società.
Questo obbligo scatta quando il soggetto possiede il 30% del capitale della società controllante o il 50%, se la società controllante non è quotata, quando la somma delle azioni possedute direttamente e quelle indirette, ovvero detenute nella società controllante, sia pari almeno al 30%. Risulta essere necessario, però, che ricorrano anche le seguenti condizioni, che tale partecipazione risulti almeno pari a un terzo del valore dello stato patrimoniale della società controllante; che la partecipazione costituisca l’immobilizzazione di maggiore valore iscritta a bilancio.
Se da un lato l’OPA obbligatoria rappresenta una forma di tutela degli azionisti non di controllo, dall’altro disincentiva le scalate, specie ostili, ma questo si traduce, quindi, in una minore contenzioso sugli assetti proprietari delle società, considerato indispensabile per garantire una maggiore efficienza gestionale. I dirigenti di un’azienda, infatti, consapevoli che nel caso di una gestione inefficiente, il prezzo delle azioni si deprime e che ciò alletta potenziali investitori esterni, che una volta acquisito il controllo li rimpiazzeranno con dirigenti di loro fiducia, cercheranno di tenere una condotta migliore e di essere più sensibili alle stesse richieste degli azionisti minori.