La massimizzazione del profitto è l’obiettivo che si pone qualsiasi impresa. Ogni attività produce beni o eroga servizi al fine di maturare un utile, puntando a renderlo il più elevato possibile. In questa guida vi daremo alcune informazioni economiche per comprendere i meccanismi attraverso i quali le imprese puntano a massimizzare il profitto.
Per prima cosa, bisogna capire in che tipo di mercato agiamo. L’ipotesi principale, per quanto la meno probabile, consiste nell’immaginare di offrire un bene o un servizio in un mercato di concorrenza perfetta. Si tratta di una configurazione caratterizzata da una pluralità tale di produttori, che nessuno di essi è da solo in grado di influire sul prezzo. In altre parole, le imprese sono qui price taker. Il prezzo lo fissa il mercato, ovvero l’incontro tra domanda e offerta, per cui si può anche dire che sia un dato esogeno per il produttore, non una variabile sulla quale agire per massimizzare il profitto. In un mercato perfettamente concorrenziale, l’impresa ha convenienza a produrre nel punto in cui il prezzo eguaglia il costo marginale, P = CM.
Il costo marginale rappresenta l’onere da sostenere per produrre un’unità in più. Se l’impresa si fermasse a produrre una quantità inferiore di beni o servizi, rinuncerebbe a una quota di profitto ancora realizzabile, data dalla differenza tra il maggiore prezzo rispetto a CM. Al contrario, se si spingesse a produrre oltre il punto di incontro, CM supererebbe P, ovvero si avrebbe una produzione in perdita.
L’ipotesi di un mercato perfettamente concorrenziale è considerata ideale, uno scenario a cui si dovrebbe tendere, perché come vedremo è il migliore sul piano del benessere sociale, ovvero della soddisfazione complessiva di imprese e consumatori.
Esiste anche una forma estrema di concentrazione delle quote di mercato nelle mani dei produttori, il monopolio. Qui, c’è un’unica impresa attiva, vuoi per ragioni normative, per esempio le leggi impediscono la comparsa di altre imprese nello stesso settore, vuoi anche di tipo economico, in questo caso si parla di monopoli naturali. In un monopolio, non esiste alcuna concorrenza. A questo punto, l’unico produttore può scegliersi le quantità e i prezzi che desidera, ma chiaramente, se vuole puntare al massimo profitto, l’impresa trova conveniente produrre una quantità che corrisponde al punto in cui il ricavo marginale eguaglia il costo marginale, RM = CM. La curva RM è graficamente una derivata di quella della domanda, per cui ha un’inclinazione maggiore, avendo in comune con questa il punto sull’asse delle ordinate. Dall’incontro tra RM e CM scaturisce la quantità ottimale da produrre, mentre facendo partire una linea fino alla curva della domanda si ha anche il prezzo di equilibrio. Come si noterà graficamente, in un mercato monopolistico si produce di meno e si formano prezzi maggiori di quelli che si otterrebbero in un mercato perfettamente concorrenziale. Il problema di una simile configurazione sta nel fatto che il profitto aggiuntivo maturato dal monopolista viene più che compensato dalla perdita di benessere subita dai consumatori, causata dai più alti prezzi pagati per i minori beni offerti. La somma tra profitti e benessere dei consumatori, dunque, in un monopolio tende ad essere inferiore a quella che si crea su un mercato di perfetta concorrenza, per cui si dice anche che si ha una perdita secca di benessere sociale. Risulta essere la ragione per la quale tutti i governi tendono a contrastare la nascita di monopoli o tentativi di monopolizzazione del mercato.
Un caso specifico di monopolio è quello naturale, caratterizzato da beni o servizi la cui produzione richiede investimenti iniziali molto elevati e tali da rendere i costi fissi determinanti nella formazione della curva di offerta, CM. In questi casi, si parla anche di domanda subadditiva, ovvero CM incontra P in un punto inferiore alla curva del costo medio, ovvero in un’area in perdita per l’impresa. Visto che un privato deve necessariamente almeno coprire il costo di produzione, CMe, qui l’unica soluzione possibile per ottenere un profitto sarebbe di eguagliare P a CMe. Trattasi di una soluzione di second best, ma la migliore possibile per consentire all’impresa di produrre e al consumatore di godere del prezzo più basso, date le condizioni.
Tuttavia, nel mondo reale esistono configurazioni di mercato differenti e molto più frequenti, come l’oligopolio. Qui, i produttori sono pochi, in relazione alla vasta platea dei consumatori. In questi casi, i primi hanno una relativa influenza nel perseguire il massimo profitto anche agendo sui prezzi. Questi, infatti, sono una variabile. Come risulta essere facile intuire, si ha una situazione compresa tra la concorrenza perfetta e il monopolio. In effetti, il massimo profitto si ottiene nel fissare un prezzo superiore a quello che si avrebbe su un mercato perfettamente concorrenziale, ma più basso di quello di monopolio. L’impresa, infatti, subisce comunque una certa concorrenza, per cui non può elevare più di tanto i prezzi. In genere, si ha un’impresa leader che riesce per prima a fissare i prezzi, avendo dalla sua un vantaggio che le deriva da svariate ragioni, come l’essere arrivata sul mercato per prima o detenere una quota più alta delle concorrenti. Le imprese follower tendono, invece, ad adattarsi alla politica dei prezzi e, quindi, delle quantità praticata dal leader del mercato.