In economia, il ricavo marginale si ottiene dall’aumento dei ricavi totali, al variare della quantità prodotta. In formula, possiamo scrivere RM = d RT / d Q, dove RT è Ricavo Totale e Q la Quantità prodotta, mentre d segnala che stiamo calcolando la derivata del primo rispetto alla seconda.
Costruendo un grafico cartesiano e ponendo RT sull’asse delle ordinate e Q su quello delle ascisse, troviamo una curva crescente, almeno fino a un certo punto. Fissando sull’asse delle ascisse un punto Q1 e più a destra un punto Q2 e verificando in corrispondenza dell’asse delle ordinate i punti RT1 e RT2, troviamo in termini grafici quanto abbiamo detto sul piano teorico, ovvero che la variazione di RT rispetto a una variazione di Q ci fornisce il ricavo marginale. Il suo valore, a parità di dQ, dipende dalla forma della curva e dal punto stesso in cui avviene il calcolo. In genere, nella parte iniziale, crescente, della curva si ottengono variazioni maggiori di quelle che si hanno nella parte successiva, segnalando che l’impresa ottiene un’unità aggiuntiva di ricavo maggiore, quando la quantità di fattore produttivo impiegata è ancora relativamente bassa, mentre tende a ottenere variazioni sempre più basse, quando la quantità impiegata del fattore produttivo è già elevata.
Pertanto, ponendo in un grafico RM nell’asse delle ordinate e Q in quello delle ascisse, troveremmo una curva inclinata negativamente, in quanto il ricavo marginale tende a ridursi con l’aumentare delle quantità prodotte. In una condizione di mercato di concorrenza perfetta, i ricavi marginali non dipendono dalle quantità prodotte, per cui in un grafico RT – Q si ottiene non una curva, ma una retta parallela all’asse delle ascisse. Solo in questo caso, il ricavo marginale è pari al prezzo, mentre in tutti gli altri casi i due non coincidono.
Il concetto di ricavo marginale ci viene in aiuto per comprendere meglio le ragioni della lotta ai monopoli da parte di praticamente tutti i governi al mondo. Nei fatti, la curva RM altro non è che una derivata di quella della domanda, ponendosi rispetto a questa in basso a sinistra, avendo un punto in comune nell’intersezione con l’asse delle ordinate. Ora, in monopolio, a differenza che per un mercato di concorrenza perfetta, il punto ottimale per la produzione di un’impresa si ha per RM = CM, ovvero quando il ricavo marginale eguaglia il costo marginale e non per P = CM. Nel punto d’incontro tra RM e CM si ottiene il livello di produzione ottimale per il monopolista, ma non il prezzo, che va letto sempre nel punto di incontro tra la curva della domanda e quella del costo marginale. In pratica, il monopolista produrrà di meno rispetto a un’impresa esposta alla concorrenza, ma venderà a prezzi più alti. Ciò, perché graficamente RM sta più in basso di P, per cui si avrà una situazione per la quale il monopolista maturerà un extra profitto dalla produzione, il quale, tuttavia, sarà più che compensato dalla perdita di benessere da parte dei consumatori. In altre parole, il monopolio provoca una perdita secca di benessere sociale rispetto alla concorrenza perfetta. Questo avviene perché il monopolista vende a prezzi più alti, ma produce di meno. Pertanto, il vantaggio che esso guadagna sarà più che compensato dallo svantaggio registrato dall’altro lato del mercato. Per questo, tutti i governi tendono a contrastare le concentrazioni monopolistiche e oligopolistiche, in quanto esse si mostrano inefficienti, riducendo il livello di benessere complessivo dell’economia.
Chiaramente, il ricavo marginale varia anche in funzione del prezzo. Si consideri il caso di un’impresa che produce 100, Q, a un prezzo pari a 5, P, ricavando 500, RT. Supponiamo che la stessa impresa aumenti la produzione a 101 e che il prezzo scenda così a 4,99, per cui ricaverà 503,99. La variazione del ricavo totale è 503,99 – 500, cioè 3,99. Ciò significa che il ricavo marginale sarà di 3,9. Esso verosimilmente tenderà a diminuire mentre incrementiamo la produzione di un’unità supplementare, in quanto è probabile che l’incidenza che ciò avrebbe sui prezzi sarebbe sempre più forte, ovvero i prezzi tendono a diminuire più sensibilmente, quando la produzione è già elevata. Il caso migliore sarebbe chiaramente per l’impresa che i prezzi restassero quasi del tutto fermi aumentando la produzione, cosa che capita per i beni con domanda molto anelastica, come nel caso di beni primari, la cui variazione dei prezzi generalmente non induce nell’immediato i consumatori a farne a meno o a comprarne di più.
La variazione della produzione non avrebbe impatto sui prezzi per un bene prodotto su un mercato perfettamente concorrenziale, dato che le mosse di una singola impresa sarebbero ininfluenti, price takers. Ma, come detto, il ricavo marginale non riguarda questo tipo di imprese, ma quelle con un certo potere di fissazione dei prezzi, price markers, ovvero monopolisti, oligopolisti o semplici realtà di nicchia, almeno fino a un certo punto per queste.