Il margine di interesse è un importante indicatore utilizzato per valutare lo stato di una banca. Esso consiste nella differenza tra interessi attivi e interessi passivi, al netto di rettifiche sui crediti e del saldo derivante dalla copertura di contratti derivati.
Il margine lordo di intermediazione si ottiene seguendo i principi dell’International Account Standard Board. Formalmente, esso è uguale a margine d’interesse + commissioni nette + dividendi e proventi simili + risultato netto della gestione di negoziazione + risultato netto dell’attività di copertura +/- utili o perdite da cessioni o riacquisto di crediti, attività finanziarie disponibili per la vendita, attività finanziarie detenute sino alla scadenza e passività finanziarie +/- risultato netto delle attività e passività finanziarie valutarie al fair value.
Quando parliamo di margine di interesse, facciamo riferimento al reddito che la banca è riuscita a maturare dalla sua attività principale, che consiste nel prestare denaro a famiglie, imprese ed enti pubblici, a sua volta preso in prestito dai clienti, tramite conti deposito, conti correnti, pronti contro termine ed emissioni obbligazionarie.
Per essere chiari, una banca prende in prestito denaro dai clienti, offrendo loro strumenti finanziari dietro il pagamento di un dato tasso di interesse. Il denaro raccolto viene utilizzato per prestarlo a chi fa richiesta, chiaramente pretendendo dal cliente debitore il pagamento di un certo interesse, concordato a tasso fisso o variabile, a seconda dei casi. Per fare in modo che la banca possa creare valore da questa attività di intermediazione, è necessario che gli interessi attivi applicati sui prestiti erogati superino gli interessi passivi offerti ai clienti creditori. Esempio, una banca possiede depositi pari a 100, remunerati ai clienti al tasso medio dell’1% e li presta a famiglie e imprese per un pari ammontare, dietro il pagamento di un interesse medio annuo del 3%. Pertanto, nell’esercizio pagherà 1, 1% di 100, e incasserà 3, 3% di 100, ottenendo un margine di interesse pari a 2.
In realtà, il discorso è solitamente più complicato, perché l’ammontare dei prestiti erogati potrebbe superare, e anche di molto, i depositi dei clienti. Risulta essere il fenomeno noto della riserva bancaria, in grado di moltiplicare la moneta offerta in un sistema economico. Tale scollamento tra raccolta e prestiti è possibile, in quanto non tutti i clienti in un dato tempo ritirano la totalità dei risparmi, ma solo una quota. Visto che statisticamente è possibile ricavare l’ammontare dei ritiri rispetto al totale depositato, la banca si riserva di accantonare la liquidità minima necessaria per le operazioni quotidiane e che rappresenta per essa un costo opportunità, investendo il resto a scopo di profitto.
Non è sempre detto che il margine di interesse di una banca sia positivo e non perché l’istituto presti denaro a un interesse medio inferiore a quello a cui lo ha preso a sua volta a prestito dai clienti, ma per diversi fenomeni. Uno di questi è l’aumento delle sofferenze nelle fasi economiche avverse. Si pensi alle banche italiane dopo il 2007, che hanno visto quintuplicare mediamente il rapporto tra i prestiti andati male, formalmente crediti deteriorati o Non performing loan, e quelli complessivamente erogati. Molti di questi crediti in sofferenza non tornano più indietro, o almeno non per intero, per esempio, per il fallimento dell’impresa debitrice o perché il cliente che aveva acceso un mutuo ha perso il lavoro e non riesce più a pagare le rate. La svalutazione dei crediti andati perduti riduce, per la formula sopra indicata, il margine di interesse.
Un’altra causa di un margine di interesse basso o persino negativo potrebbe essere connessa a uno stato di crisi dell’economia, come il caso appena esposto, ma alimentata dai bassi tassi imperanti sul mercato. Sta accadendo negli ultimi anni, infatti, che le banche centrali abbiano azzerato i tassi per stimolare l’economia, dopo lo scoppio della devastante crisi finanziaria nel 2008. Ora, quando i tassi sono molto bassi, le banche vanno incontro a un’asimmetria sui mercati a loro sfavore, perché da un lato sono costrette a prestare denaro a interessi bassi, dall’altro non possono spingersi fino al punto di tagliare i tassi offerti ai clienti a zero o, addirittura, anche sotto. Questo, perché verosimilmente perderebbero risparmi depositati, visto che verrebbe meno la convenienza di portarli in banca. Dunque, mentre i tassi passivi presentano un floor, ovvero un limite minimo invalicabile, non così è per i tassi attivi, che potrebbero anche azzerarsi.
I bassi margini d’interesse, specie dopo la crisi finanziaria, hanno spinto le banche italiane, così come anche quelle concorrenti all’estero, a puntare maggiormente su altre fonti di reddito, come le commissioni. Il discorso, in verità, risale già alla nascita dell’Eurozona, quando i tassi nominali e reali sul mercato del credito si erano abbassati, incentivando le nostre banche, abituate a un ambiente generalmente di alti tassi, a ricavare un maggiore reddito dall’applicazione delle commissioni su operazioni varie dei clienti, come un semplice bonifico o l’apertura di un conto corrente o il rilascio di una carta di credito.