Il liquidity coverage ratio o tasso di copertura della liquidità esprime la capacità di un’istituzione finanziaria di coprire le esigenze a breve con gli asset altamente liquidi detenuti. L’obiettivo di una simile misura consiste nell’evitare che l’istituzione incorra in una qualche tensione sul piano della liquidità per coprire le obbligazioni a breve. Sulla base dell’Accordo di Basilea, le banche sono soggette a regole sul liquidity coverage ratio, nel caso in cui posseggano asset consolidati per almeno 250 miliardi di dollari o 10 miliardi di esposizioni estere a bilancio.
La regola è stata implementata a partire dal 2011, ma il raggiungimento del 100% minimo è stato reso obbligatorio solo dal 2015. Dunque, le banche sono tenute a detenere LCR in quantità almeno pari al totale delle obbligazioni dei successivi 30 giorni. A questo proposito vanno computati tutti gli asset altamente liquidi, ovvero il denaro, il debito corporate e i titoli di stato. Con Basile III è stato anche stabilito che gli asset vadano distinti a seconda del grado di effettivo rischio. Quelli di tipo Livello 1 non vengono scontati, mentre quello di Livello 2 e Livello 3 sono sottoposti a un tasso di sconto rispettivamente del 15% e del 50%. I primi includono i crediti verso la banca centrale, le risorse all’estero che possono essere ritirate e convertite in denaro contante velocemente e le emissioni degli stati o garantiti da enti statali o sovranazionali.
Gli asset di Livello 2 sono le emissioni di specifiche banche di sviluppo multilaterali o entità sovrane, oltre che di società sponsorizzate dai governi. A questi si aggiungono azioni e obbligazioni investment grade quotate sui mercati regolamentati ed emesse da soggetti non finanziari.
Il LCR si ottiene dividendo tutti gli asset altamente liquidi per i flussi di cassa netti nell’arco di un periodo di 30 giorni. Immaginando che una banca possegga asset di questo tipo per 50 miliardi e un cash flow netto a 30 giorni per 40 miliardi, essa mostrerebbe un tasso di copertura del 125%, più che sufficiente a segnalare capacità di affrontare le scadenze a breve, stando ai requisiti di Basilea.
Risulta essere evidente che imporre un LCR minimo significa anche porre un tetto massimo ai prestiti erogabili, visto che la singola banca si trova costretta a detenere asset liquidi non inferiori alla data percentuale, sottraendoli dalla massa dei prestiti. Risulta essere proprio l’obiettivo che si è dato il Comitato di Basilea a partire dal 2007, non a caso l’anno in cui sono emerse le prime crepe della successiva crisi finanziaria mondiale, che ha sostanzialmente travolto le economie avanzate. Si avvertiva già allora l’esigenza di rendere i sistemi bancari quanto più solidi possibili, anche dotandole di un grado di patrimonializzazione minimo crescente negli anni. Tali regole sono state e continuano ad essere oggetto di profonde critiche da parte dei governi, oltre che delle banche stesse, in quanto, come anticipato, pongono un limite al credito erogabile e si teme che così facendo si abbiano ripercussioni negative anche sulla crescita economica. In sostanza, le banche si trovano dinnanzi a un trade off tra efficienza e solidità, problema non certo nuovo, ma che è diventato preponderante nel dibattito pubblico internazionale, specie dopo che nel mondo sono state impiegate migliaia di miliardi di denari pubblici per salvare istituti al collasso.
Per fare in modo che un asset venga definito high quality, deve mostrarsi liquidabile anche in momenti di tensioni finanziarie e deve essere utilizzabile presso la banca centrale come collaterale di garanzia. Inoltre, deve segnalare un basso rischio di credito, alto rating, oltre che bassa volatilità e una scarsa correlazione con le attività rischiose della banca.
Il LCR è integrato da un altro indicatore, il Net Stable Funding Ratio o il Tasso di finanziamento netto stabile. Esso punta a rafforzare la solidità delle banche su un orizzonte temporale più lungo, ovvero di un anno. Esso è dato dal rapporto tra l’ammontare disponibile di provvista stabile e l’ammontare obbligatorio di provvista stabile. Anche in questo caso, il requisito minimo fissato è del 100%. Per provvista stabile si intendono i capitali di rischio e di debito che si ritengono costituire fondi affidabili per un orizzontale temporale di un anno e in condizioni di stress prolungato.
Tra le numerose critiche a questo nuovo modello bancario imposto da Basilea, quella che riguarda il ruolo di un istituto di credito, positivo per l’economia, grazie alla capacità di fare incontrare soggetti in deficit con soggetti in surplus sul mercato del credito. La banca prende a prestito a breve termine e presta solitamente a medio lungo termine. Imponendo regole sulla liquidità minima da detenere, invece, le banche si trovano costrette a fronteggiare obbligazioni a medio termine con asset liquidi a medio termine, per cui viene meno il modello di riferimento tradizionale. Infine, non sembra così ovvio definire quali asset possano definirsi stabili e quali volatili. Si pensi ai depositi dei risparmiatori, apparentemente molto stabili, ma che finirebbero per essere ritirati nel caso di una corsa agli sportelli per via dell’eventuale timore di una crisi.