Gli indicatori aziendali rivestono una grande importanza per capire la condizione finanziaria, economica e patrimoniale dell’attività esaminata. Non tutti sono espressamente pubblicati nei bilanci, ma generalmente richiedono pochi e semplici passaggi per ottenerli. Nel caso specifico, l’indice di copertura delle immobilizzazioni si presta a un doppio calcolo, a seconda che si faccia riferimento al grado di autocopertura o alla copertura globale. Nel primo caso, stiamo rapportando il capitale netto, capitale totale meno i dividendi, al totale degli impieghi immobilizzati. In sostanza, ci stiamo chiedendo se gli investimenti di durata superiore all’anno siano coperti e in quale misura dai mezzi propri. In una condizione ideale, il rapporto dovrebbe essere pari a 1, ovvero un’azienda dovrebbe essere capace di finanziare il 100% degli investimenti con capitale proprio.
Nel caso, invece, in cui facessimo riferimento all’indice di copertura globale delle immobilizzazioni, al denominatore dobbiamo sommare il capitale proprio alle risorse forniteci da terzi, mentre al denominatore abbiamo sempre gli investimenti di durata superiore all’anno. Dunque, qui la copertura esprime il grado con cui gli investimenti di medio lungo termine vengono finanziati con mezzi propri e ricorrendo a fonti esterne.
Ora, si è soliti pensare che un’azienda debba mostrare un indice di autocopertura delle immobilizzazioni totale, ovvero che essa debba sempre finanziare gli investimenti a medio lungo termine con capitale proprio. Non è così e almeno per un paio di ragioni. Per iniziare, va bene minimizzare il ricorso all’indebitamento, ma bisogna anche tenere conto delle alternative, ovvero del costo di privarsi di capitale proprio. I soci di un’azienda potrebbero non essere sempre disponibili a mettere mano al portafoglio per simili operazioni. Inoltre, quando un’azienda finanzia completamente le immobilizzazioni ricorrendo solo al capitale proprio, ciò potrebbe segnalarne il basso merito creditizio, ovvero la scarsa capacità di richiedere e ottenere finanziamenti dal sistema bancario o attingendo ai capitali sul mercato, per esempio, emettendo obbligazioni.
Risulta essere evidente che serve un misto ottimale tra le due fonti, al fine di non intaccare il risultato finale di ogni esercizio. Una società che si indebita troppo verso le banche o emettendo bond, sarebbe costretta ogni anno a privarsi di liquidità relativamente elevata per il pagamento degli interessi ai creditori, con ciò deprimendo l’utile o ampliando le perdite. Inoltre, essa rimarrebbe esposta alle condizioni del mercato, perché difficilmente i crediti ottenuti mostrano una durata perfettamente coincidente con quella attesa delle immobilizzazioni, per cui serve rifinanziarli nel corso degli anni. In un clima di rialzo dei tassi, tali operazioni comportano chiaramente un aumento dei costi.
Serve anche capire, a parte il grado di autocopertura, quale risulta essere il rapporto tra la durata dei debiti contratti e quella attesa delle immobilizzazioni. Immaginiamo di avere investito 1 milione di euro per acquistare un macchinario, che si stima possa contribuire alla produzione aziendale per un periodo di 10 anni. Questo significa che ogni anno, esso incide sui conti societari per 100.000 euro. Se per acquistarlo abbiamo contratto un debito di 4 anni, al netto degli interessi dobbiamo restituire al creditore rate annuali di 250.000 euro, ovvero superiore al contributo atteso dal macchinario. Dunque, l’azienda si esporrebbe a una potenziale crisi di liquidità.
Il settore in cui si opera risulta importante per capire se l’azienda sia più o meno molto esposta verso soggetti esterni. Partiamo da una premessa, non è possibile indicare per tutte le realtà un unico valore percentuale, al di sopra del quale ci si può considerare troppo esposti, ovvero sovra indebitati. Ci limitiamo ad osservare, con tutta la cautela del caso, che un’azienda con un indice di autocopertura delle immobilizzazioni inferiore al 30% risulterebbe sovra esposta, tra il 30% il 65 o 70% sarebbe moderatamente esposta e sopra il 65 o 70% risulterebbe poco esposta.
Tuttavia, non tutti i settori sono uguali. Prendiamo le utility, ovvero le società che erogano servizi. Esse sono generalmente molto indebitate, in quanto costrette a investimenti massicci per la costruzione di infrastrutture, come la rete elettrica, del gas, i cavi telefonici. Il loro grado di auto copertura risulta mediamente basso, ragione per cui tendono a essere più esposte di altre nei casi di rialzo dei tassi sul mercato, in quanto dovranno rifinanziare i debiti a costi maggiori, oppure perché si sono indebitate a tasso variabile, specie con l’emissione di obbligazioni. Anche per questo, quando il costo del denaro scende, le azioni delle utility in borsa tendono a sovraperformare il mercato, mentre quando il costo del denaro sale, esse tendono a fare peggio della media.
Riassumendo, l’indice di copertura delle immobilizzazioni fornisce un segnale sul grado di indebitamento di un’azienda per finanziare investimenti di medio lungo termine. Non sempre è possibile o preferibile finanziare questi ultimo totalmente ricorrendo al capitale proprio, specie se le condizioni del mercato ci consentano di indebitarci relativamente a basso costo, oppure se le risorse richieste appaiano elevate. Infine, un indebitamento costantemente contenuto o nullo potrebbe segnalare non solo una condizione ottimale sul piano finanziario, ma anche la scarsa capacità dell’azienda di ricorrere a fonti di finanziamento esterno, magari a causa della scarsa reputazione di cui gode sul mercato.