Il buyback significa letteralmente riacquisto e risulta essere un’operazione di una società quotata in borsa, volta al riacquisto delle azioni proprie. L’art.2357 del codice civile limita al 20% la quantità di azioni proprie acquistabili, in relazione a quelle totalmente emesse sul mercato.
Per capire fino in fondo le ragioni di una simile azione, si consideri che quando una società decide di acquistare parte delle proprie azioni, il numero del cosiddetto flottante libero, ossia delle azioni rimanenti sul mercato e in mano ai soci non di controllo, liberamente e prontamente cedibili, diminuisce. Di conseguenza, il loro valore tende a crescere, visto che una volta acquistate, tali azioni devono essere formalmente annullate.
Dunque, abbiamo trovato la prima motivazione del buyback, ossia creare valore per gli azionisti. In questo modo, chiunque volesse monetizzare tale aumento di valore, potrebbe rivendere le azioni in suo possesso e ottenere una maggiore plusvalenza. Inoltre, il valore delle azioni tenderebbe a crescere per il solo annuncio lanciato dalla società, che sostanzialmente segnala di ritenere sottovalutati i titoli.
Nel caso in cui un azionista non volesse rivendere le azioni in suo possesso, l’aumento dei loro corsi accresce il valore dei titoli in portafoglio ai fini di bilancio, qualora si trattasse di una società.
L’azionista ottiene un beneficio dal buyback anche per mezzo della distribuzione dei dividendi. Infatti, questi sono suddivisi ai soci sulla base di un dato prezzo per ciascuna azione in loro possesso, per esempio 0,10 euro per azione. Essendo inferiore il numero delle azioni dopo il piano di riacquisto, ciascun socio otterrà un dividendo maggiore. Anche per questo, il buyback determina un aumento dei corsi azionari oggetto del piano.
Esistono essenzialmente due modalità per il riacquisto delle azioni proprie, la cosiddetta tender offer e il l mercato. Nel primo caso, la società origina una sorta di asta, alla quale potranno partecipare tutti gli azionisti, fissando un prezzo minimo e uno massimo. Ogni socio, quindi, deciderà se partecipare e quanti titoli eventualmente cedere e a quale prezzo.
Il riacquisto sul mercato secondario avviene diversamente, nel senso che la società si comporta al pari di qualsiasi altro investitore-acquirente in borsa e compra dagli azionisti le azioni ai prezzi dati.
Il buyback è una pratica tornata abbastanza di moda negli ultimi anni, dopo lo scoppio della crisi finanziaria globale, quando molte società quotate in borsa hanno ritenuto che i loro titoli si fossero deprezzati molto e ingiustificatamente rispetto ai risultati.
C’è, però, un’altra ragione, che potrebbe indurre una società a ricomprarsi parte dei suoi stessi titoli, cioè evitare scalate ostili. Queste si chiamano anche take over e sono acquisti di massa di azioni da parte di uno o più investitori uniti in una cordata, con l’intenzione di rilevare il controllo della società. Riducendo la quantità dei titoli in circolazione, si riduce il rischio di scalata per due ragioni, diventa più difficile reperire una quantità sufficiente di azioni libere e la scalata diventa più costosa, per l’aumento dei corsi azionari.
A volte, il buyback potrebbe rendersi necessario anche per ragioni pratiche. Si pensi al caso di una società, che voglia remunerare i suoi dipendenti e dirigenti almeno parzialmente con un piano di stock option, ovvero con la cessione in loro favore e a una certa data di un determinato quantitativo di titoli. Queste pratiche, molto diffuse nel mondo anglosassone da decenni, negli ultimi anni hanno preso piede anche in Europa e sono finalizzate all’incentivazione dei livelli di produttività, perché un lavoratore o un dirigente sa che potendo beneficiare direttamente dall’aumento del valore della produzione rispetto ai costi, attraverso una corrispondente crescita dei corsi azionari, potrà monetizzare tale miglioramento.
Ma le stock option presuppongono che la società possieda un determinato numero di azioni, che necessariamente dovrà o emettere o rastrellare sul mercato. Nel primo caso, l’azione avrebbe conseguenze depressive sui corsi, in quanto aumenterebbe il numero delle azioni emesse, per cui generalmente la società preferisce la seconda opzione.
Infine, il buyback potrebbe rendersi conveniente per quei casi, in cui l’aumento di valore delle azioni in favore degli azionisti fosse trattato fiscalmente in maniera diversa dalle cedole. Infatti, non in tutte le legislazioni le plusvalenze sono sottoposte alle stesse aliquote fiscali dei dividendi. Se la tassazione su di esse fosse più leggera, sarebbe preferibile per l’azionista un piano di buyback, piuttosto che una distribuzione di dividendi per un pari importo.
Una volta riacquistate, le azioni vanno imputate a Riserva per azioni proprie e al prezzo storico o fair value, ovvero nell’attivo del Patrimonio Netto.
Attenzione, però, perché non sempre il buyback è un’operazione riguardante il mercato azionario. Spesso, infatti, riguarda le obbligazioni emesse dalla stessa società. Accade, infatti, che i bond, che sono debito verso i privati, possano prezzare nel tempo meno della data in cui sono stati emessi, per cui alla società potrebbe risultare conveniente, se dispone di sufficiente liquidità, riacquistarli e annullarli. In questo modo, ridurrà il suo indebitamento finanziario in anticipo e per un importo complessivo superiore di quello che si verificherebbe attendendo le scadenze e il rimborso al loro più alto valore nominale.