I latini la chiamavano fortuna, denotando con questo termine la buona e la cattiva sorte; gli statistici la chiamano probabilità; in finanza si usa il termine rischio, con il quale viene indicata la possibilità che l’investimento non generi i redditi attesi, a vedere bene però, tutte e tre le locuzioni denotano la stessa circostanza, ossia l’incertezza del futuro.
In finanza, in particolare, il rischio consiste nella probabilità che un investimento creduto remunerativo si trasformi in una perdita secca oppure in un’iniziativa meno redditizia di quanto ci si attendeva. Ciò accade per esempio se la società di cui si sono comprate le azioni fallisce, oppure se l’ente di cui si sono comprate le obbligazioni viene a trovarsi momentaneamente in una situazione di illiquidità.
Nel primo caso, l’investitore subisce una perdita secca, non riesce infatti a recuperare il capitale inizialmente investito; nel secondo, invece vede ridursi il rendimento, visto che il mancato pagamento degli interessi alla scadenza ovvero il rimborso del capitale alla fine del prestito impediscono il reinvestimento delle somme promesse e quindi la possibilità di derivarne nuova remunerazione.
Quanto più è rischioso l’investimento, tanto maggiore è il rendimento richiesto dagli investitori. In assenza di una maggiore remunerazione, infatti, essi preferiscono mettere i propri soldi in iniziative prive di rischio, per esempio titoli di Stato. Per definizione, i titoli del debito pubblico dei Paesi industrializzati sono gli strumenti finanziari con minore grado di rischio.
In finanza il maggiore rendimento richiesto per un investimento rischioso rispetto a uno privo di rischio viene definito appunto premio di rischio. Il miraggio di guadagnare più del normale spinge gli investitori a correre il rischio di incorrere in una perdita oppure di ottenere dal loro investimento un rendimento più basso.
Un esempio può chiarire la logica sottostante la richiesta del premio di rischio. Supponiamo che un investimento di 2mila euro presenti pari probabilità di un ricavo di 5mila euro così come di una perdita di mille. Ebbene, se fosse effettuato un gran numero di volte, gli statistici affermano che dovrebbe assicurare in media un’entrata di duemila euro. Risulta essere chiaro che un investitore, a meno che non sia neutrale, cioè indifferente al rischio, non sarà disposto a investire duemila euro per ottenere in cambio la stessa cifra; soprattutto perché i soldi utilizzati per l’investimento sono certamente spesi, mentre quelli in entrata sono soltanto probabili, e per di più mediamente probabili. A queste condizioni, l’investitore sensibile al rischio non è disposto a investire i propri soldi.
Egli invece potrebbe essere disposto a fare l’investimento nel caso in cui quella distribuzione dei rendimenti potesse essere realizzata con l’impiego di soli mille euro. La differenza fra 2mila euro di rendimento atteso e mille euro di investimento è il cosiddetto premio di rischio.
In pratica, il premio di rischio viene di norma calcolato come la differenza di rendimento fra uno strumento finanziario e uno di identica natura emesso da un soggetto con minimo profilo di rischio. Per esempio, se un’obbligazione decennale emessa da una società offre un rendimento pari al 8%, e un BTp con uguale maturità offre un rendimento pari al 4,5%, il premio di rischio è pari a 250 punti base, ogni punto base essendo pari a un centesimo di punto percentuale.
Il premio di rischio varia in funzione di molteplici fattori. I principali sono tuttavia tre: il grado di rischio connesso alla solidità economica e finanziaria dell’emittente, nonché all’attività da esso svolta; la durata del titolo; e la sua liquidità, ossia la facilità di smobilizzo. In particolare, il premio di rischio è tanto più alto, quanto maggiore è il grado di rischio dell’emittente, quanto più lunga è la durata del titolo e quanto minore è la sua liquidità. A quest’ultimo riguardo, basta porre attenzione al fatto che il premio di rischio cresce in funzione delle difficoltà che l’investitore incontra per venderlo sul mercato; difficoltà che di norma implicano dei costi aggiuntivi, di cui l’investitore non si farebbe sicuramente carico se non sperasse di ottenere dal suo investimento un rendimento capace di ripagarli per intero e anche più.