Nel linguaggio aziendale, il margine di contribuzione è un indicatore di estrema importanza per valutare l’impatto che ha la produzione di un bene o l’erogazione di un servizio sul valore economico di un’attività.
Esso consiste nella differenza tra il ricavo maturato dalla produzione di un bene o servizio e il relativo costo variabile. In altre parole, il margine di contribuzione ci segnala se la produzione di un determinato bene sta contribuendo a creare creare valore o no, oppure se, addirittura, lo sta distruggendo.
Iniziamo da una constatazione, l’utile dell’impresa è dato dalla differenza tra ricavi e costi, con questi ultimi che comprendono sia quelli fissi che quelli variabili. Ai fini del margine di distribuzione non stiamo tenendo conto dei costi fissi, in quanto in questo modo il risultato ottenuto ci consente di capire se la produzione di un determinato bene avviene a costi, variabili, inferiori rispetto ai ricavi, di fatto garantendo all’impresa un margine, che a sua volta serve a coprire anche i costi fissi, oltre che a maturare un utile. Accade, infatti, che se un prodotto mostra un basso margine di contribuzione, significa che resta poco all’impresa per coprire i costi fissi e per ottenere anche un utile.
In termini semplici, il margine di contribuzione deve essere positivo per fare in modo che la produzione di un bene abbia economicamente un senso. In più, esso deve essere anche almeno pari ai costi fissi unitari, altrimenti la produzione sta avvenendo effettivamente in perdita.
Quando un’azienda produce numerosi tipi di beni, tende a spalmare sul piano dell’analisi contabile i costi fissi sull’insieme dei beni prodotti. Questi vengono sommati, poi, ai costi variabili e si ottiene così il costo unitario per prodotto, che si confronta con i ricavi. In questo modo l’imprenditore capisce subito se sta portando avanti un’attività in perdita o economicamente positiva. Tuttavia, così facendo perde preziose informazioni sul contributo delle singole produzioni, perché si sta limitando a verificare il risultato d’insieme, non comprendendo quale produzione sta apportando valore e quale, invece, sta creando una perdita.
Se si scoprisse, per esempio, che la produzione di un determinato bene avviene con un margine di contribuzione negativo, significa che non solo non sta avendo un contributo positivo ai fini del risultato aziendale, ma che, anzi, sta provocando perdite per ogni unità prodotta, con la conseguenza di rendere necessario per le altre produzioni maturare un margine di contribuzione, che sia anche in grado di coprire le perdite della linea suddetta, oltre che i costi fissi.
I costi fissi possono essere più o meno importanti per la quantificazione dei costi complessivi di un’attività. Essi consistono in spese non legate direttamente al volume della produzione, per cui il modo più semplice per abbatterli sul piano unitario consiste nel massimizzare la produzione. Facciamo un esempio, un ponte collega due parti di una stessa città e per attraversarlo è necessario un pedaggio. Per costruirlo sono stati spesi una certa quantità di milioni di euro, che sono i costi fissi. I costi variabili appaiono abbastanza bassi e si riducono essenzialmente al personale eventualmente impiegato per la riscossione del pedaggio o ai macchinari apposti alle estremità del ponte per i pagamenti degli utenti, oltre che alla manutenzione ordinaria e straordinaria richieste. Che ogni giorno attraversino il ponte 100 o 1000 auto, al gestore non cambia quasi nulla in termini di costi variabili, mentre essendo i costi fissi preponderanti, è ottimale che i volumi di traffico siano i più alti possibili, in modo che questi costi possano dividersi su un numero di utenti quanto più elevato possibile, rendendo le tariffe remunerative.
Elevati costi fissi comportano, quindi, l’esigenza di elevate produzioni per rendere l’investimento conveniente sul piano economico, ma ciò comporta più che mai l’obbligo per l’impresa di non sbagliare linea di produzione, perché se questa creasse un margine di contribuzione basso o persino negativo, non ci sarebbe probabilmente più modo per sopperire al danno provocato e le eventuali produzioni rimanenti non sarebbero più in grado di garantire un margine così elevato, da coprire i costi fissi e le perdite della produzione fallimentare.
Nel caso di costi fissi relativamente bassi, meno grave sarebbe il caso di una produzione con basso margine di contribuzione, perché probabilmente basterebbe puntare sulle altre produzioni per fare rientrare l’impresa anche dei costi fissi e generare un utile.
Riepilogando, un prodotto non ha senso economico se presenta un margine di contribuzione negativo. Il margine di contribuzione deve sempre essere positivo e preferibilmente anche superiore al costo fisso unitario, altrimenti la produzione avviene in perdita e per almeno pareggiare i conti è necessario che altre produzioni riescano a coprire i costi fissi unitari del prodotto con margini di contribuzione insufficienti. In definitiva, l’imprenditore deve sempre scartare prodotti con margini di contribuzione negativi e preferire quelli con margini superiori ai costi fissi unitari.