Si definisce insider trading la compravendita di strumenti finanziari da parte di persone, che per il ruolo che ricoprono, sono in possesso di informazioni non disponibili al pubblico e di rilevanza tale da potere influenzare l’andamento delle contrattazioni una volta rese pubbliche.
In sostanza, l’insider trading si ha quando qualcuno è in possesso prima degli altri di informazioni rilevanti, in grado di influenzare sensibilmente i prezzi degli strumenti finanziari compravenduti. Per fare in modo che si abbia tale tipologia di reato, è necessario che tale persona abbia un ruolo all’interno della società a cui afferisce il titolo oggetto di compravendita, ovvero che sia un membro del consiglio di amministrazione, un socio, un manager, che eserciti un’attività lavorativa, una professione o una funzione, anche pubblica, compresa di controllo.
Il Testo Unico della Finanza disciplina la fattispecie all’art.184, dove, in riferimento alle suddette figure, prevede la comminazione di sanzioni nei casi in cui acquista, vende o compie altre operazioni, direttamente o indirettamente, per conto proprio o per conto di terzi, su strumenti finanziari, utilizzando le informazioni medesime, comunica a altri tali informazioni, al di fuori dell’ordinario esercizio della propria attività, della professione, della funzione o dell’ufficio, raccomanda o induce terzi, sulla base delle medesime informazioni, a compiere una delle suddette operazioni sopra indicate.
Con la legge comunitaria del 2004, recepita dall’Italia con la legge 62/2005, si è posta una distinzione tra insider primari e insider secondari. I primi sono puniti con una pena detentiva da uno a sei anni e con una multa fino a 3 milioni di euro, che il giudice ha la possibilità di elevare di 3 volte o fino a 10 volte l’importo del prodotto o il profitto conseguito con il reato. Per i secondi, il reato è stato declassato a illecito amministrativo. Gli insider secondari sono coloro, che ricevono da altri informazioni sensibili, che utilizzano per ricavare un profitto con le operazioni sopra elencate, relative agli strumenti finanziari. Inoltre, i fatti di rilevo penale integrano un illecito amministrativo e si è deciso di punire tutte le condotte previste.
Cerchiamo di capire per quale motivo in tutte le legislazioni avanzate, specie quelle a maggiore inclinazione liberale in economia, hanno optato per una dura repressione delle varie forme di insider trading. La ragione è semplice, bisogna tutelare la fiducia dei risparmiatori e investitori, senza i quali il mercato finanziario non potrebbe nemmeno esistere. E tale fiducia si basa sull’assunzione, che ognuno che investa sia posto allo stesso piano degli altri, senza, quindi, subire un danno dal fatto di ottenere informazioni rilevanti ai fini del trading dopo una o più categorie di investitori. Se questa fiducia fosse bassa o inesistente, nessuno sceglierebbe di puntare i propri capitali su un titolo, sapendo che qualcun altro prima di lui potrebbe essere entrato in possesso di informazioni sensibili e tali da determinare un profitto a discapito del resto del mercato.
Dunque, le norme contro l’insider trading non mirano principalmente a tutelare il singolo investitore, ma ad assicurare che si abbia un grado sufficiente di fiducia verso il mercato dei capitali, in modo che la liquidità possa fluire laddove ve ne sia bisogno.
Vediamo quale potrebbe essere, in concreto, un caso di insider trading. Poniamo che un funzionario della Consob, la Commissione di vigilanza sulle società quotate in borsa, venga a conoscenza di un’indagine da parte di una Procura sull’ipotesi di reato di distrazione di fondi a carico di alcuni dirigenti dell’azienda X. Risulta essere chiaro che la notizia, una volta resa nota al pubblico, sarà in grado di influenzare negativamente il corso delle azioni della suddetta società, in previsione di un possibile buco nei suoi conti, i quali potrebbero essere stati falsificati.
Immaginiamo che tale funzionario comunichi la notizia a un amico, azionista della società oggetto dell’indagine, il quale immediatamente si precipita a vendere i titoli in suo possesso, evitando di subire una perdita e magari facendo in tempo a realizzare pure una plusvalenza. Si ha un chiaro caso di insider trading secondario, perché chi ha venduto le azioni è stato informato da altri.
Facciamo un altro esempio. Il consigliere di amministrazione di un’azienda quotata in borsa riceve, al pari di tutti gli altri membri del cda, un’offerta pubblica di acquisto di un investitore, che intende acquistare una certa percentuale di azioni della società a un prezzo del 40% superiore a quello attuale. Anche in questo caso, l’informazione è estremamente sensibile e in grado di influire all’istante sul corso delle azioni. Poniamo che, prima di renderla pubblica al mercato, tale consigliere di amministrazione acquisti un pacchetto azionario, in modo da approfittare del successivo rialzo dei corsi azionari, rivendendoli magari dopo poche ore a un prezzo notevolmente più elevato e ricavando una plusvalenza. Siamo dinnanzi a uno dei casi classici di insider trading, sui quali vigila la Consob, che monitora, tra le altre cose, i movimenti sospetti nelle compravendite degli strumenti finanziari. Se, per esempio, scopre che poco prima della pubblicazione di dati sensibili su un titolo, questo è stato oggetto di acquisti o vendite dai quantitativi anomali, accende i fari su tali operazioni, cercando di risalire sui responsabile, al fine di verificare che non vi siano connessioni con le informazioni stesse e rese note solo successivamente.