Ceo è l’acronimo inglese per Chief executive office, termine che indica in tutto il mondo la figura corrispondente a quella che in Italia definiamo Amministratore delegato, in sigla Ad. Per capire di cosa parliamo, dobbiamo spiegare a quale realtà il Ceo fa riferimento.
Le società per azioni o quelle organizzate in maniera simile, anche se le legislazioni possono divergere profondamente da paese a paese, sono attività il cui capitale è suddiviso in quote o azioni, appunto, nelle mani anche di moltissimi titolari, che di fatto sono i proprietari della società per la percentuale corrispondente detenuta.
Per esempio, se Tizio possiede 100 azioni di una società dal capitale complessivo pari a 1000 azioni, la sua quota è del 10%. Gli azionisti hanno diritto periodicamente all’elezione del cosiddetto consiglio di amministrazione, in sigla cda. Nel linguaggio aziendale inglese, esso viene indicato col termine board.
Il cda è composto da un numero di membri, detti consiglieri di amministrazione, executive officer, che rispecchia la composizione dell’azionariato. Per essere chiari, il board sta agli azionisti come un Parlamento agli elettori. Chiaramente, il peso di un azionista socio in assemblea dipende dalla quantità di capitale presente al voto, similmente a quanto accade alle elezioni politiche, quando il peso di un solo voto tende a crescere, se l’affluenza alle urne è bassa.
Lo statuto di una società fissa le regole e i tempi per l’elezione del cda. In Italia, esso deve essere rinnovato entro tre anni dalla precedente elezione, mentre le modalità del rinnovo sono lasciate allo statuto. Pertanto, nel nostro paese esistono differenti modi per la composizione di un cda, si va dal metodo tendenzialmente proporzionale, per cui un ogni consigliere di amministrazione dovrebbe rappresentare la stessa percentuale di capitale di ogni altro presente nel board, a quello maggioritario, per cui la lista di maggioranza, ossia che riporta più voti, ottiene un numero fisso di consiglieri, pari anche ad oltre la metà più uno, in alcuni casi anche ai due terzi del totale.
Gli azionisti di controllo, quindi, riescono a ottenere quasi sempre il numero più alto di consiglieri nel cda, anche se non è detto che riescano a eleggere anche la maggioranza assoluta. La regola comune a tutte le società per azioni o simili, sia in Italia che all’estero, è comunque che un socio ha un peso dipendente dalla quantità di azioni con diritto di voto detenute, non sulla base di una testa, un voto, principio vigente per altre realtà aziendale, come le cooperative.
Il cda elegge a sua volta il presidente e l’amministratore delegato o anche detto consigliere delegato, che è quello, appunto, che nel resto del pianeta è noto anche come Ceo. Sempre per cercare di fare capire con immediatezza, il Ceo rappresenta una sorta di premier, perché gestisce la politica aziendale, rappresenta generalmente la maggioranza del board dal quale viene eletto, è a capo del management e viene ritenuto il principale responsabile dei risultati aziendali. A differenza del Ceo, il presidente del cda ha un ruolo più di rappresentanza, a volte anche a titolo onorario.
Detto questo, non bisogna pensare, però, che l’intera politica aziendale sia caricata sulle spalle del Ceo. Anzi, specialmente nel caso dell’Italia, il potere specifico dell’Ad è persino ridotto rispetto a quello dei colleghi stranieri. In effetti, è il cda a dare l’indirizzo al Ceo da seguire, in quanto rappresenta gli interessi degli azionisti.
Risulta essere evidente, quindi, che il Ceo è espressione degli azionisti di controllo, anche se non per questo inamovibile. Quando la proprietà è contendibile, ovvero quando una società è “scalabile” dai soci di minoranza o da investitori esterni, il potere di controllo del capitale può passare nelle mani di altri e ciò porta inevitabilmente a uno stravolgimento della composizione del cda, anche se non sempre nell’immediato, dovendosi attendere le scadenze previste per il suo rinnovo. Si usa anche dire che quando la proprietà è contendibile, il Ceo e il resto del management siano costretti ad operare con efficienza, altrimenti eventuali nuovi azionisti di controllo potrebbero sostituirli con altri di fiducia.
In Italia storicamente la contendibilità degli assetti proprietari è minore, perché molte società quotate continuano a rimanere nelle mani delle note famiglie del capitalismo tricolore, che ne controllano la maggioranza del capitale in maniera stabile, di fatto non consentendo alcun ribaltamento dei rapporti di forza dentro il cda e mantenendo alla guida di questo un Ceo di fiducia, spesso anche indipendentemente dai risultati.
D’altra parte, c’è chi eccepisce nel modello anglo-americano una sorta di ansia da prestazione, dato che l’estrema contendibilità della proprietà porta spesso alla necessità per il Ceo di dimostrare nell’immediato risultati concreti, anche al costo di sacrificare gli obiettivi di medio lungo termine.
Esistono anche alcuni rimedi per le opposte criticità sopra esposte, ovvero l’erogazione a Ceo di cosiddette stock option, ovvero opzioni sulle azioni della stessa società guidata, con scadenza in anni futuri, in modo da spingerlo a contemperare i risultati d’impatto con obiettivi di più lungo termine.